Sugli editori a pagamento
Scritto da Alberto Cassani martedì 22 febbraio 2011
Archiviato in Quelli che scrivono...
Come aveva ben spiegato Mark Twain, ci sono molti motivi per cui i giovani faticano a trovare spazio nel mondo dell’editoria, non solo in quello della critica cinematografica. In questi ultimi anni, uno spazio alternativo di espressione è stato offerto dagli editori a pagamento e da quelli on-demand. Per quanto si tratti di due tipi di editori abbastanza diversi come impostazione (i primi guadagnano grazie all’autore, i secondi grazie alle vendite), hanno molti punti in comune. E presentano praticamente gli stessi pericoli per gli autori inesperti.
Per quanto siano una risorsa che molto raramente può interessare chi si occupa di critica cinematografica, vale comunque la pena di affrontare l’argomento perché può ugualmente offrire spunti interessanti per capire meglio in che tipo di situazione si può venire a trovare l’esordiente che si affaccia nel mondo dell’editoria. E’ un argomento di cui a dir la verità si è parlato spesso un po’ dappertutto, nell’ultimo paio d’anni. Per affrontarlo ho deciso di riprendere un post che Elvezio Sciallis ha pubblicato nel suo bel blog, Malpertuis, verso la metà di ottobre 2010, raccontando la sua personale esperienza con gli editori a pagamento in modo da dare alcuni preziosissimi consigli a chi affronta l’ambiente per la prima volta. Vi evito di andare a cercare: Malpertuis è il titolo del primo romanzo scritto dall’eclettico Jean Ray (Raymundus Joannes de Kremer), e racconta di uno stregone che ha intrappolato gli dei dell’Olimpo all’interno di una vecchia casa. Il libro ha anche avuto un adattamento cinematografico interpretato tra gli altri da Orson Welles nel 1974. Un titolo adattissimo a un blog che si occupa prevalentemente di orrore in ogni sua forma ed espressione.
Qui sotto riporto il testo di Sciallis (meno alcune notazioni sue personali che esulano dal discorso), che offre un punto di vista piuttosto diverso dalle tante critiche tutte uguali che si leggono un po’ ovunque. Se siete interessati all’argomento vi consiglio di visitare il suo blog e leggervi i commenti dei suoi lettori, da cui sono uscite utilissime informazioni.
[…] Ho avuto ben due rapporti con editori a pagamento, parecchi anni fa, e sono stati rapporti anali passivi contro la mia volontà. Ne ho un ricordo pessimo, vorrei poter tornare indietro e cancellare queste esperienze. Ho la maledizione di non avere memoria ma ancora ricordo questi due pessimi editori e non riesco a cancellare il tutto.
Dal punto di vista economico è andato tutto molto bene, dovrei essere contento: sono riuscito in entrambi i casi a guadagnare parecchio rispetto alla cifra investita, e senza nemmeno vendere i libri ai parenti. Ma io non guardo […] mai ai soldi: presto volentieri, non chiedo aumenti, non apro nemmeno (giuro) la busta paga per vedere se mi hanno pagato quanto dovuto. E a parte i soldi guadagnati tutto il resto ha fatto schifo. […]Copertine orrende.
Editing zero.
Cura editoriale generale penosa.
Mi hanno pubblicato racconti che il cestino mi diceva «non osare buttarli qui perché vomito, eh», impaginati come li avrebbe impaginati il late Borges, distribuiti che manco li cani eccetera eccetera. Dovrei quindi sparare a zero contro gli editori a pagamento, e a dire il vero fino a pochi anni fa lo facevo.Il campanello di allarme ha però suonato forte qualche tempo fa, quando all’improvviso grandi giornalisti di Repubblica e vari scrittori affermati, out of the blue, hanno cominciato ogni due per tre a sparare con violenza contro l’editoria a pagamento. Nel giro di poco tutti sono diventati leoni e aggredire l’editoria a pagamento e la vanity press è diventato il flavor of the month. E io ho cominciato a riflettere un po’ più a lungo e in profondità […] perché quando giornalisti di Repubblica/CdS (che forniscono un servizio di editoria a pagamento, ma loro figurati se ne parlano, più sicuro attaccare Il Filo, vero?) e Gvandi Scvittovi cominciano ad agitarsi, allora l’attacco – mi spiace – mi puzza e devo rivedere le mie posizioni per controllare se ancora reggono.
Ho controllato e in generale esse reggono bene.Ho pochi principi base. Il lettore non deve pagare per leggere, lo scrittore non deve pagare per pubblicare e se possibile, rispettando la prima condizione, deve pure guadagnarci qualche soldo, che è una figata. Il “come” riuscire a pagare lo scrittore senza far pagare il lettore non mi interessa, ho la fortuna di essere irrazionale, incostante, ciclotimico, cazzaro: lascio ad altri l’arduo compito (Sponsor? Supporti dallo Stato? Donazioni post-lettura? Anything, whatever…), la prima condizione governa tutte le altre.
Quindi, in sostanza, non si dovrebbe pagare per pubblicare. E no, non si dovrebbe nemmeno […] pagare le fottute agenzie letterarie per dei servizi che, ehi, nel resto della Western Civilization sono gratuiti. Si tratta del loro lavoro, se ci chiappano e trovano l’autore poi ci guadagnano, se non ci chiappano e non sono abbastanza furbi da minimizzare tempi di lettura e spese… be’, l’evoluzione se li mangerà.Esperienze personali negative, convinzioni personali che le rafforzano… Insomma, tutto mi spingerebbe a invitare a non frequentare mai gli squali a pagamento: è sensato, l’angioletto con l’arpa poggiato sulla mia spalla destra mi sta convincendo. Ma, appunto, è poggiato sulla spalla destra, quindi io sospetto per tradizione. E ci sono ancora i giornalisti e i grandi scrittori che sparano: sospetto anche lì. Irrazionale eh, ricordate sempre.
Torniamo quindi un po’ su nel post. Torniamo a quando ho scritto che questi editori mi hanno fatto cose brutte «contro la mia volontà».
Non è vero.
Ma proprio no.
La colpa per queste brutte esperienze è stata solo mia. SOLO MIA.
Ero ignorante.
Ero inconsapevole.
Mentre pubblicavo a pagamento credevo di fare altro ed è errore terribile.Il punto, come sempre e sempre e sempre nella vita è la consapevolezza. Dovete essere consapevoli di chi siete, di cosa avete prodotto e di dove volete andare, cosa volete fare e ottenere.
Molti (ehi, in particolare giornalisti e scrittori affermati!) vi venderanno la Grande Verità con cui dovrete prima o poi venire a patti: se non riuscite a pubblicare presso grandi casi editrici è perché non sapete scrivere.
Nel mio caso è vero, sommato a tante altre cose (pigrizia, scarso interesse a gran parte delle cose che accadono in vita, senso esagerato della comicità dell’esistenza) è purtroppo vero e quando ti ci confronti arriva la pace.
Ma in tanti altri casi non è vero.
Ho letto molti autori non pubblicati o quasi in vita che spaccano il culo a passeri e professionisti.Il «se non riuscite a pubblicare presso grandi casi editrici è perché non sapete scrivere» è un campo retorico molto forte, banale e falso/forte tanto quanto «nelle grandi case editrici pubblicano solo gli amici mafiosetti o le scrittrici pompinare» o «tutti gli autori che vendono tanto fanno schifo e sono delle puttane» o ancora «le piccole case editrici sono pulite e brave e buone».
Se non riuscite a liberarvi da questa merda retorica ad alto potenziale di convincimento, non potrete nemmeno sviluppare adeguata consapevolezza sulle vostre capacità, sui vostri fini e scopi e quindi, di conseguenza, anche sulle case editrici a pagamento.
Questa consapevolezza manca, spesso, a ogni livello e quando vi arriva vi farà un po’ di male ma anche tanto bene, vi libererà. Vi farà smettere di andare a queste presentazioni di libri di falliti che parlano di se stessi come “scrittori” o “poeti”. Vi farà smettere di pensare di aver scritto e pubblicato un “libro” quando invece avete pagato per un servizio. E alle volte non si paga con i soldi eh, si può pagare anche con recensioni positive ad amichetti e scuderie associate, link e leccate varie. […]Consapevolezza quindi.
Molte band e cantanti, da decenni, entrano in studio e sborsano per registrare il loro primo 45 giri, LP, CD e cazzi e mazzi. Ma proprio da tanti decenni eh, fin dalle cabine a pagamento che registravano i 45 giri. Moltissimi scultori vanno e pagano per la pietra e le altre cose che usano. Idem i pittori. Molti, in sostanza, investono somme di tempo e denaro per arrivare dove devono arrivare.
E, sempre in generale, ravviso una maggiore consapevolezza nei musicisti che conosco. Che non mi vengono a vendere la palla «ho pubblicato un CD con XXX» bensì mi dicono «ehi, abbiamo autoprodotto un CD, hai voglia di comprarlo/ascoltarlo/recensirlo?» Sanno che è un possibile, imperfetto mezzo per arrivare ad altro. Sono consapevoli e non SI contano palle. Quindi non TI contano palle.L’editoria a pagamento, come tutto il resto di ogni cosa nella vita, è 90% merda. Se non siete consapevoli, avrete il 90% di probabilità di finire nella merda. Io non ero consapevole e ci sono finito. Se invece siete consapevoli, siete informati e sapete cosa volere, allora potrebbe fare al caso vostro. Non fa più per me, ma non è Satana in Terra, non lo è mai stata e ha comunque smesso di esserlo quando hanno cominciato a lanciarle generiche sassate giornalisti e scrittori senza peccato.
Io non pubblicherò mai più a pagamento, ma potrebbe interessarvi scovare qualche editore a pagamento decente. Che vi offre un SERVIZIO, con lui conscio di offrire un servizio e voi consapevoli di pagare per un servizio e quindi attenti a pagare solo se questo servizio esiste veramente. Potreste aver voglia di investire una somma (non uno sproposito eh, se vi chiedono molto è già una discriminante) in un servizio di editing adeguato, in una stampa decente, un’impaginazione adeguata, una copertina decisa bene da grafici dotati di un certo gusto, una minima distribuzione sia via internet che verso certe librerie specializzate che non nascondano i vostri volumi. Verso qualche presentazione nelle stesse.
In sostanza state pagando per stampare un biglietto da visita, magari narcisista (e allora?) e magari, se ci saprete fare, guadagnerete pure qualche soldo che, mi dicono, male non fa.Ma questa consapevolezza, come tante altre cose in vita, richiede sbattimento. Richiede controllare e valutare le proposte, raggiungere un know-how che vi permetterà la discriminazione, richiede scaricare add-on mentali che vi permettano di separare la merda e gli squali da chi offre invece un servizio e vuole farsi pagare per tale servizio. Serve anche, questa consapevolezza, per cancellarvi dal cervello tutte quelle cazzate mitiche sull’essere scrittore, sul torturarsi sulla scrivania, sul vivere in soffitta, sul vivere per scrivere (che è un po’ come vivere per lavorare), sul grande nemico, sul demone della scrittura […] e tante altre retoriche già fruste nell’800. Vi/mi preferisco in giro per pub e a scopare, a giocare di ruolo con amici e figli e ridere nelle sale del cinema piuttosto che andare in giro a pomparvi come poeti: get a fuckin’ life.
E comunque, anche se consapevoli, pensateci bene prima di pubblicare. Siate consci del vostro prodotto, scrivete di più ma fate uscire di meno: ogni giorno escono decine di libri inutili, meglio risparmiare cartucce. […]
Quindi, pur non facendo per me, ben venga certa (rara eh, sia chiaro, rarissima, ricordate: il 90% di merda) editoria a pagamento o, altra via, auto-pubblicazione su Lulu, e-book e cose simili. Non sono questi i campi di battaglia, è la vostra mente e la vostra autocoscienza la trincea che vi permetterà discriminazione. Ma, come dice Congleton, queste sono solo dolci parole che il ragno sussurra alla mosca…
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2 risposte a: “Sugli editori a pagamento”
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potresti dirmi con quale ‘piccole case editrici’ hai avuto tutti questi problemi? Così non caschiamo nella trappola anche noi!!!
Bisognerebbe chiederlo a Sciallis, io ho solo riportato il suo articolo. Ma i problemi non li ha avuti con una piccola casa editrice, bensì con un editore a pagamento. E dubito che cambi molto, da un editore a pagamento all’altro: come dice lui: tu paghi per un servizio, tutto quello che non è compreso sta a te farlo. Basta leggere con attenzione cosa è compreso nel prezzo e cosa no.