Cinema e fumetti: molte parole, tanta confusione
Scritto da Alberto Cassani martedì 23 marzo 2010
Archiviato in Quelli che scrivono...
Solitamente, le cappelle più grosse i critici cinematografici le prendono quando affrontano argomenti diversi dal cinema per contestualizzare il film di cui stanno scrivendo. Capita su tutti i fronti, ma uno degli argomenti più gettonati degli ultimi anni sono i fumetti, per via dell’enorme numero di pellicole che Hollywood trae da serie e graphic novel supereroiche e non, mentre curiosamente i critici di solito evitano di scendere in particolari quando scrivono di film tratti da videogiochi. Sui fumetti, invece, non si fanno problemi a esprimere opinioni pur non avendo mai letto le storie di cui scrivono. Spesso lo fanno con uno snobismo davvero irritante, come fece Maurizio Porro quando recensì Watchmen sul Corriere della Sera. Perché va bene dare 4,5 alla mediocre pellicola di Zack Snyder, però non si può scrivere che il film è…
[…] tratto dal solito presunto cult graphic novel di Moore-Gibbons […]
…perché se Porro si fosse abbassato anche solo a parlare col collega Filippo Mazzarella – che oltre che sul Corriere scrive anche su Linus – avrebbe scoperto che il Watchmen di Alan Moore e Dave Gibbons è l’opera più importante della storia del fumetto moderno insieme con Il Ritorno del Cavaliere Oscuro di Frank Miller: è la ragione per cui oggi possiamo comprare fumetti in libreria, è la ragione per cui di fumetti si parla persino in televisione, è la ragione per cui il fumettista non è più un impiego denigrato da tutti. Evidentemente, però, certi tromboni sono convinti di non aver più niente da imparare…
Una cosa che capita molto spesso quando un critico cinematografico scrive di fumetti, come dicevo, è che si prendano sonore cantonate, e si finisca per fare discorsi senza senso cercando di spiegare ai lettori una cosa che non si conosce. Come già accennato, capita con mille altri argomenti diversi, ma coi fumetti capita più spesso per ovvie ragioni numeriche. Un esempio di quanto i critici cinematografici, anche giovani, non abbiano voglia di studiare per bene l’argomento dell’articolo che stanno scrivendo si può trovare nella recensione di Punisher – Zona di guerra che Nanni Cobretti (come Nanni Moretti e “Cobra” Cobretti) ha scritto su I 400 calci:
Mettiamo in chiaro le cose: per quanto io sappia di avere gusti che generalmente differiscono da quelli della “critica convenzionale”, mi sono sempre vantato di saper riconoscere, o perlomeno trovare un senso credibile ai loro punti di vista, anche quando opposti ai miei. Ma guardando The Punisher: War Zone mi sono trovato per la prima volta incredulo davanti al contrasto tra ciò che vedevo e un impietoso 25% al pomodorometro. Stavamo guardando lo stesso film? Conoscevamo lo stesso fumetto? O qualcuno era ancora un po’ troppo ubriaco di Cavalieri Oscuri? Il fumetto del Punitore è molto semplice, e parecchio bidimensionale rispetto a colleghi più illustri come Batman, Spiderman o persino Wolverine: mafia stermina famiglia di poliziotto, il quale diventa psicopatico, indossa maglietta con teschio e inizia a sterminare mafiosi come mosche. Come un fottuto Jason Vorhees dalla parte della giustizia. O un incrocio fra Mad Max e Steven Seagal. Non è complicato.
Eppure.
Nel 1989 ci fu il primo tentativo di portarlo sul grande schermo, ma ci pensò la New World sull’orlo della bancarotta, con un budget ridicolo e Dolph Lundgren protagonista. In più di un verso tradirono le poche cose tradibili: Dolph era biondo e lo tinsero nero, e soprattutto niente maglietta col teschio. Niente teschio! L’unico segno distintivo! E la prossima qual è, Superman senza la “S”? Magari in jeans e polo? A parte quello il film era mediocre con punte di ridicolo (i monologhi interiori del Punitore che parla a Dio!), ma se non altro il Dolph, con il suo vagare a occhi spenti con movenze alla Frankenstein, era credibile nei panni di uno con il cervello completamente fottuto. E il dialogo «Come cazzo li chiami 125 morti in 5 anni?» «Lavori in corso.» è da applausi.
Nel 2004 il remake a budget serio. Ah, come si vantavano all’epoca, dicendo «beh come minimo verrà meglio di quello precedente», ridendo e ammiccando e dando pacche sulla spalla. E ahimè, come si sbagliavano. E ci volevano delle belle acrobazie per sbagliarsi in un caso simile. Comunque: il Punitore recupera la t-shirt col teschio, ma vai a sapere perché è di nuovo interpretato da un biondo tinto, Thomas Jane. Ma il problema principale è la sceneggiatura, che sposta l’azione da New York alla Florida e soprattutto trasforma il personaggio in un’incredibile fighetta che si diletta in scherzetti psicologici, e che quando s’incazza fa più che altro tenerezza. E inoltre perde una spropositata quantità di tempo su inutili personaggi secondari, facendo fare amicizia tra il Punitore e i suoi vicini di casa. Il Punitore. Che fa amicizia. Coi vicini di casa. Manco fosse “Simpatia” Will Smith. Roba da non credere.
[…]
The Punisher: War Zone non è e ovviamente non vuole essere un capolavoro, ma è lontano anni luce dalla pigrizia e dall’assurdità di cose alla Daredevil o Ghost Rider, ed è scemo quello che basta per non dare fastidio. È concentrato su quello che conta di più: ha scene d’azione che fanno il loro sporco e sanguinoso dovere, un ritmo bello sostenuto, un eroe imponente e due cattivi che a guardarli sono una goduria. Mica John Travolta. Probabilmente nessuno girerà mai il vero Punitore, ma di questo ci si può accontentare eccome.
Il primo commento che arriva, firmato RRobe, è lapidario:
RRobe says:
Questo blog mi piace un sacco ma, per favore, non parlate di fumetti.
Sul serio.
Cobretti se la prende e RRobe gli risponde, avendo la sottigliezza di aggiungere il link al proprio blog in modo da far capire che sapeva di cosa stava parlando senza per questo fare la figura del “lei non sa chi sono io”. Cobretti probabilmente il link non l’ha seguito e il nick RRobe non l’aveva mai sentito, altrimenti avrebbe capito che negli orari di lavoro il suo interlocutore si fa chiamare Roberto Recchioni, uno degli sceneggiatori di fumetti più apprezzati d’Italia. Lo sviluppo del thread sarebbe comico se non ci fosse una vena tragica dietro tutta la discussione, dal punto di vista professionale. Tra le altre cose, RRobe fa notare che il Frank Castle fumettistico era un veterano del Vietnam e non un poliziotto e Cobretti risponde che in fondo è la stessa cosa, poi gli spiega che la storia dei vicini di casa era presa di peso da una saga del fumetto (ma pure i giochetti psicologici, a ben guardare) e Cobretti risponde che non ha importanza. RRobe non gli fa notare che il Punitore fumettistico il teschio lo dipinge su un giubbetto di kevlar e non su una maglietta comprata al supermercato, ma sarebbe stato come sparare sulla croce rossa. Poi conclude ribadendo il concetto, che è anche il concetto portante di questo mio post:
RRobe says:
L’ho detto, è un blog che mi piace tanto e quando parlate di quello che conoscete siete bravissimi… ma non mi fate come quei giornalistuncoli della carta stampata che trattano il media fumetto con tutta la sufficenza del mondo, vi prego.
Purtroppo la discussione prende velocemente la strada della rissa verbale, come spesso accade nei blog in cui non scrivono solo amici e parenti. Gli interventi di altri lettori non servono a schiodare Cobretti dalle sue posizioni. C’è comunque il tempo di un rapido scambio che ha un punto di interesse:
Nanni Cobretti says:
[…] se faccio un post dove lo scopo principale e’ recensire The Punisher: War Zone, non posso perdere tempo a scrivere l’enciclopedia del Punitore in tutte le sue virgole. Ne accenno i tratti fondamentali, anche perché sono più che sufficienti quelli a dare un’idea di quanto è stato tradito nel corso dei tre film che ne sono stati tratti. E per quanto sono cosciente di aver scritto frettolose imprecisioni, che se mi avessi segnalato con altro tono avrei accettato volentieri, queste – corrette o meno – non cambiano il senso del mio post.
RRobe says:
Se ne accenni i tratti fondamentali, sbagliandoli, è un cazzo e tutt’uno.
Che è in pratica quello che si potrebbe dire a tutti i critici che scrivono con sufficienza di argomenti che non sono il cinema: ritengono non sia necessario approfondire l’argomento e pensano non sia importante se “per caso” scrivono delle imprecisioni. Eppure, io penso che se uno avesse a cuore la bontà del proprio lavoro dovrebbe quantomeno assicurarsi di non scrivere stupidaggini, soprattutto se ha intenzione di parlare anche solo brevemente della differenza tra film e materiale originale. Dovrebbe cercare di documentari – dovrebbe aver voglia di documentarsi – per poter essere il più preciso possibile ed evitare il rischio di scrivere imprecisioni o vere e proprie stupidaggini. Se uno non può o non vuole documentarsi, allora è molto meglio far finta di nulla e non parlare minimamente di ciò che sta dietro il film; se però la prima cosa che si scrive è un paragone tra film e materiale originale, poi non si può pensare e far credere che il materiale originale sia una cosa di scarsa importanza.
Invece no. Invece di solito c’è un totale disinteresse da parte dei critici nei confronti di argomenti che non siano il cinema, come se il cinema non avesse a che fare con il resto del mondo, con la vita reale. Forse si pensa di farla franca dando per scontato che i lettori non ne sappiano nulla, o forse si è davvero convinti di saperne abbastanza perché nessuno ha mai dimostrato che non è vero, o più probabilmente non si ha proprio voglia di sbattersi per studiare qualcosa che non interessa e che si ritiene (a torto) poco importante.
Nanni Cobretti rientra probabilmente nella seconda come nella terza categoria, perché nei commenti trova modo di scrivere:
Nanni Cobretti says:
[…] Il Punitore è uno dei miei fumetti preferiti di sempre insieme a Hulk, ma ho smesso di leggerlo a 15 anni dopo una manciata di numeri. […]
Che è una frase del tutto priva di senso, visto che se se il fumetto gli piaceva così tanto da definirlo il suo preferito non c’è ragione di smettere di leggerlo dopo solo una manciata di numeri, peraltro a quindic’anni di età. Ma non è finita, perché poi conclude dicendo:
Nanni Cobretti says:
[…] Abbiamo esperti fumettari in redazione (ce li abbiamo, giuro) e ho imparato che è meglio far scrivere loro anche quando su certi film mi ci infoio io. […]
Che è una frase altrettanto senza senso, perché se è giusto che abbia voluto recensire lui il film perché gli interessava molto, non sta né in cielo né in terra che abbia scritto la recensione senza informarsi coi colleghi che lui sa essere esperti di argomenti che lui forse riterrà poco importanti ma che sono invece la base stessa del film di cui si è occupato. E questa sufficienza – questo menefreghismo nei confronti del proprio lavoro e dei propri lettori – è una cosa che purtroppo dimostrano in tanti, nel mondo della critica cinematografica. Non solo i vecchi tromboni…
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9 risposte a: “Cinema e fumetti: molte parole, tanta confusione”
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Hahahaha spettacolo 🙂
Guarda, capisco perfettamente cosa vuoi dire nel tuo post, sono d’accordo al 100% e non me la prendo per essere stato tirato in ballo. Pero’ se parli di “professionalita’” e “lavoro” sei completamente fuori strada, perche’ essere un “critico” non e’ il mio mestiere e faccio tutto questo assolutamente gratis e a (molto) tempo perso. Aggiungici se vuoi che scrissi quel post a sito aperto da poco, quando pensavo che mi leggessero in 15 se andava bene. Insomma: concetto giusto, esempio sbagliato. Da parte mia ho imparato ad ammettere in anticipo la mia ignoranza, ma da parte tua sono sicuro che avresti preferito impostare il tuo articolo su chi davvero ruba stipendi 😉
Caro Alberto, l’ingiustizia commessa da Cobretti contro The Punisher ha lo stesso peso dell’ingiustizia che tu ora commetti contro Cobretti stesso. Leggiti qualche altra pagina dei 400 Calci e comprendine lo spirito: probabilmente ti piacera’. Male che vada ti offriremo altri spunti per articoli pieni di livore! Saludos
Ma no, non c’è nessun livore da parte mia né contro il sito (che già conoscevo anche se non lo frequento) né contro l’autore in particolare, ci mancherebbe. E non penso che si possa equivocare in questo senso, per ciò che ho scritto. Non mi sembra proprio di essermi scagliato violentemente contro nessuno, se con un generico modo di fare. Be’, forse verso Maurizio Porro sì, ora che ci penso…
Ho fatto questo esempio invece di altri più blasonati perché mi ha colpito il dibattito con Recchioni, fosse stata la recensione e basta avrei citato qualcun altro, ma ciò che è uscito dallo scambio di commenti spiegava perfettamente il modo di pensare e di agire di certi critici, e a quel punto è meglio fare un esempio concreto invece di inventarsi una situazione o raccontarne in maniera astratta un’altra. In questo blog, di esempi negativi importanti ne ho fatti un sacco, e ho iniziato sbertucciando il critico cinematografico più importante di Milano. Ho usato questo caso perché l’ho ritenuto l’esempio migliore, non perché ho pensato fosse il bersaglio più facile da “attaccare”.
Nanni, il fatto che tu abbia imparato ad ammettere in anticipo la tua ignoranza è sostanzialmente la ragione dietro il mio post, e sono sicuro che l’hai capito: come tu hai imparato dalla tua esperienza, altri che vogliono provare a fare questo lavoro possono imparare da ciò che ti è successo, se gli viene spiegato perché è successo e come fare per evitarlo.
Però non mi trovi d’accordo sul tuo atteggiamento: il fatto che tu scriva per diletto nel tempo libero e per pochi lettori non penso sia una ragione sufficiente per scrivere con approssimazione. E’ chiaro che non si può pretendere un lavoro di livello professionale da uno che lo fa in poco tempo e a zero lire, però un lavoro attento sì. Capisco lo scrivere per divertimento, ma visto che nessuno ti obbliga a farlo, perché farlo se non hai interesse a farlo bene? Io personalmente ci tengo sempre a vedere il mio nome associato a cose fatte bene, o per lo meno al meglio delle mie possibilità.
Tra l’altro, diciamo che il 90% dei siti di critica d’Italia non pagano i collaboratori (neanche CineFile lo fa, e io stesso ho sempre affiancato altri impegni a quello di critico per poter andare avanti), e quindi a loro spetta solo un “grazie” e mai un cazziatone per ciò che scrivono, però mi sembra il minimo aspettarsi che ci mettano la giusta attenzione in quello che fanno, no?
Ma guarda, penso che la chiave della faccenda stia anche nel fatto che io ero convintissimo in tutta onesta’ di essere informato in modo piu’ che decoroso, soprattutto per i concetti che volevo far passare (che insisto a dire che nonostante tutto passano lo stesso, se qualcuno ha voglia di leggersi il pezzo integrale). Da qui la veemenza della discussione – e si’, aggiungi pure la voglia di sverginare il sito col suo primo flame 😉
Da quel post ho soprattutto imparato che non solo il mio pubblico era molto piu’ ampio del previsto, ma pure composto da esperti coi controcoglioni per i quali non e’ sufficiente che io sappia distinguere con sicurezza gli eroi Marvel da quelli DC (cosa che non so quanti giornalisti del Corriere sappiano fare). Per cui in seguito mi sono adeguato – guarda caso proprio oggi ho pubblicato io stesso due pezzi a sfondo fumettaro.
Alla fine ripeto: se deve valere come parabola decontestualizzata, ok. Difficile, con certe mire in testa, inventarsi qualcosa di piu’ ficcante. Nello specifico pero’, essere trattato e analizzato in rapporto a una situazione di professionismo (o anche solo aspirante tale) e’ fuori bersaglio e ingiusto, ed e’ abbastanza palese che non stavo rispondendo in quel contesto. Ma infondo via, in un certo senso lo prendo come un complimento 😉
Sì, ovviamente io ho tenuto solo le parti della recensione e della discussione che mi interessavano, se avessi citato tutta la recensione avrei distratto l’attenzione e sarei andato troppo per le lunghe.
Tra l’altro in questo periodo, con questa situazione editoriale, mettere in piedi un sito o iniziare a collaborare con uno già esistente è l’unico modo che i ragazzi hanno di provare a entrare nel settore, e quindi penso sia giusto stimolarli verso un’attenzione professionale anche quando scrivono per la rete (sempre che poi mi leggano, ovviamente…). Poi è chiaro che scrivere su un sito o un blog non equivale necessariamente a voler fare il critico cinematografico di lavoro…
Comunque il pubblico di internet è veramente onnivoro e onniscente, non ci si può permettere di sottovalutarlo. E’ impossibile pensare di saperla più lunga dei nostri lettori, perché salterà sempre fuori qualcuno in grado di farci le pulci su un argomento qualsiasi. E’ un postaccio, internet… E t’è pure andata bene che stavi scrivendo “solo” del Punitore: se si fosse trattato di un fumetto giapponese avresti trovato qualcuno pronto a crocifiggerti in sala mensa. Se gli otaku sapessero chi è Arnold Schwarzenegger, il loro motto sarebbe “da qualche parte, prima o poi, qualcuno pagherà”.
Ma infatti alla fine il bello e’ diventato quello: continuo a non avere sempre per forza il tempo per documentarmi con pignoleria, ma da allora (oltre un anno fa…) imposto ogni pezzo dicendo la mia e incoraggiando i lettori a tappare gli eventuali buchi. Alla fine si sta tutti bene, e tra articolo e commenti ci si fa una cultura esagerata 🙂
Ciao
C’e’ sempre uno scarto di competenze tra gli appassionati e il critico. Per quanto possa il secondo informarsi rimane sempre un’area alla quale non può accedere: quella piu’ vicino al cuore che alla ragione. E l’appassionato di fumetti sa essere molto integralista, come terribilmente integralista può essere il lettore monomaniaco…ne so qualcosa.
E’ una bella lotta, spesso tutti e due trovano il modo di crescere.
Anche se spesso ho letto zarri di critici tipo quello di uno noto che ha letto male la sinossi del signore degli anelli e ha lasciato una parentela di troppo.
Comunque, da lettore di fumetti.
1) Watchmen non mi e’ piaciuto pe’ niente.
2) Punisher funziona solo su fumetto (frase piu’ vicina al cuore)
3) L’uomo ragno a cinema NON HA I LANCIARAGNATELE! Quindi e’ apocrifo
Sì, diciamo che il critico parte (in teoria) da una posizione di superiorità rispetto al suo lettore, che presumibilmente gli riconosce una competenza specifica sul cinema che il lettore stesso non ha. Solo che è facilissimo far crollare questo piedistallo se si dimostra di saperne meno del lettore su altri argomenti, cosa frequentissima. Però penso che questi buchi si possano tappare decorosamente con impegno e voglia, e che il lettore si accorga sì che questa non è una conoscenza che viene dal cuore ma riconosca l’impegno e la correttezza delle conoscenze basilari che il critico mette in mostra. Poi, certo, quando si parla di fumetti ci sono gli integralisti che non te ne fanno passare una, ma basta ignorarli come fa tutto il resto del mondo.
A proposito di errori clamorosi, ci fu uno che impostò la recensione di un film sul testo della canzone portante della colonna sonora, solo che aveva letto male una parola e aveva dato a tutta la canzone un significato diverso… Purtroppo non mi ricordo più chi fosse né di che sito si trattasse, ma era uno di quelli abbastanza noti.
E parlando del Punitore, devo guardare come sta andando la preparazione della miniserie di Preacher che la HBO stava sviluppando…
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