Cinema e Tv

Scritto da Alberto Cassani mercoledì 16 gennaio 2008 
Archiviato in Cinema d'attualità, Televisione

Che il cinema stia assomigliando sempre di più alla televisione, è una cosa di cui si parla ormai da tempo immemore. Quello che stupisce è vedere come anche i critici più celebrati sempre più spesso non si rendano davvero conto della differenza tra cinema e televisione.

Quanti hanno tessuto le lodi de “La ragazza del lago“, apprezzandone magari lo stile visivo, senza neanche accorgersi che quella sceneggiatura segue pedissequamente le regole del racconto televisivo – della fiction – invece che di quello cinematografico?

Quanti all’epoca avevano esaltato “La meglio gioventù“, che era dichiaratamente una fiction televisiva proiettata su grande schermo?

Può sembrare una differenza da poco, ma provate a immaginare un’opera teatrale messa in scena e ripresa sul palcoscenico senza alcuna mediazione cinematografica (non come fa Peter Greenaway, quindi). Non è cinema, quello. La televisione non è cinema tanto quanto non lo è il teatro. Eppure, molti se lo dimenticano.

Il fatto che cinema e televisione siano due cose diverse non vuol dire che un prodotto televisivo non possa essere migliore di uno cinematografico. Anche di molti prodotti cinematografici. La prima stagione di “Heroes” è migliore di quasi tutti i film supereroistici realizzati finora e “Uno bianca” è infinitamente migliore di tutti i i film che Michele Soavi ha diretto per il cinema, ma restano prodotti televisivi. E per quanto cinema e televisione si influenzino a vicenda, restano due mezzi di comunicazione diversi, con regole – anche e soprattutto linguistiche – ben diverse.

Spacciare un prodotto televisivo per un film per il cinema è una cosa ridicola. O lo sarebbe, se non fosse che così tante persone ci cascano…

Ma in effetti, c’è una cosa forse ancora peggiore del realizzare fiction da grande schermo; una cosa che deriva dal fatto che i soldi veri, nel cinema, ormai si fanno con i passaggi televisivi invece che con quello in sala. L’abitudine di realizzare una versione televisiva più lunga di quella cinematografica. Qualcosa di simile a quanto Peter Jackson ha fatto con i DVD della Trilogia dell’Anello, in pratica.

È un’abitudine che in Italia per ora ha attecchito poco – un recente esempio è quello dei “Vicerè” di Roberto Faenza – ma su cui nessuno sembra essersi fermato a riflettere. Pensateci: le scene aggiunte per la Tv (o l’home-video) servono? Servono al racconto, alla costruzione dei personaggi, alla comprensione dell’ambientazione? Perché se servono, gli spettatori cinematografici sono stati presi in giro pagando il biglietto per vedere un film volutamente incompleto. Se invece quelle scene non servono, allora ad essere presi in giro sono gli spettatori televisivi, cui viene presentato un film inutilmente allungato con il solo scopo di poter fare più interruzioni pubblicitarie.

E c’è gente che ancora sottovaluta la differenza tra cinema e Tv?

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Commenti

28 risposte a: “Cinema e Tv”

  1. zandre ha scritto mercoledì 16 gennaio 2008 23:29

    ma il tema è interessante ma mi pare che i dvd usa riescano sempre ad aggiungere “roba” alla versione originale in maniera creativa intelligente. in italia è solo una questione di minutaggio. Ma forse sbaglio…

  2. Alberto Cassani ha scritto mercoledì 16 gennaio 2008 23:44

    Bisogna distinguere tra le scene che vengono aggiunte al montaggio cinematografico del film, aumentandone il minutaggio, e le scene in più che vengono inserite negli extra.
    Le prime vanno a cambiare quella che è proprio l’opera, il film in quanto tale, mentre le seconde sono semplicemente un gadget, un “regalo” che viene fatto agli spettatori curiosi di sapere cosa avrebbero potuto vedere al cinema se gli autori…
    Ormai quasi tutti i film hollywoodiani escono in dvd con tra gli extra le sequenze tagliate e/o finali alternativi, che spesso aggiungono poco e che in genere sono stati scartati per un motivo. Invece, alle volte ci sono film che nella versione dvd sono decisamente diversi da quella cinematografica.
    Ad esempio, nel terzo “Signore degli Anelli” cinematografico non compare il personaggio di Christopher Lee, il cui destino viene raccontato nelle scene contenute all’interno del film nel dvd. Questo è un esempio di film proposto al cinema in versione volutamente incompleta, esattamente come le scene in più della versione televisiva de “I vicerè” cui accenno nel post.
    Un’altra cosa ancora, in realtà, dovrebbe succedere a “Cous Cous”, perché il regista aveva proposto al Festival di Venezia una versione molto più lunga del suo film ma l’ha tagliato su consiglio del direttore del Festival, e pare voglia far uscire la versione integrale in dvd. Una cosa simile a ciò che accade con alcuni film tagliati per motivi di censura e poi “ripristinati” nella versione home-video (dovrebbe accadere con “Hitman”, per esempio).

  3. Andrea Chirichelli ha scritto giovedì 17 gennaio 2008 01:02

    Il film è discreto, le interpretazioni efficaci però la musica non si può ascoltare: credo sia la peggiore OST che abbia sentito di recente (Oddio, anche quella di Elfman per il film di Berg è sciorda finissima)

  4. Riccardo ha scritto giovedì 17 gennaio 2008 02:06

    Scrivo, senza neanche troppa convinzione, che forse la retorica finzionale televisiva ora come ora è vincente su quella cinematografica. Il cinema non fa che adeguarsi. La rivincita autoriale delle serie televisive è il sintomo più evidente di questa situazione. In fondo qual è lo specifico cinematografico che emerge dalla attuale estetica dominante?

  5. Alberto Cassani ha scritto giovedì 17 gennaio 2008 10:37

    L’estetica dominante, a Hollywood, è quella di esplosioni, mostroni e simili. Fino a quando Hollywood ha potuto fare queste cose “in esclusiva” non ha avuto problemi. Ma ora gli effetti speciali sono meno costosi e più semplici da realizzare, per cui anche le serie televisive possono raccontare un certo tipo di storie che fino a pochi anni fa erano possibili solo al cinema.

    Diciamo comunque che il pubblico televisivo (in senso lato) è numericamente superiore a quello cinematografico, per cui se la montagna non va a Maometto… “In senso lato” perché gli introiti dell’home-video superano quelli delle sale cinematografiche, e personalmente credo che la cosa sia collegata all’esplosione delle serie Tv. Ho l’impressione che, negli Stati Uniti ma non solo, quelli che seguono assiduamente i programmi televisivi non vadano mai al cinema, ma preferiscano guardare i film in dvd. Questo porta ad una netta separazione dei due pubblici e rende difficoltoso il passaggio degli attori dal piccolo al grande schermo, perché un volto noto nel cast non riesce a schiodare la gente dalle poltrone. Com’è possibile, infatti, che nessuna stella della televisione USA escluso George Clooney sia riuscita a diventare una stella di Hollywood?

  6. Alberto Cassani ha scritto giovedì 17 gennaio 2008 10:41

    Il film è discreto, le interpretazioni efficaci però la musica non si può ascoltare
    Intendi “La ragazza del lago”? Secondo me il film è meno che discreto. Certo è visivamente intrigante e Toni Servillo è bravo, ma il modo in cui la storia è raccontata – con la necessità di dire e ridire tutto, e un sacco di situazioni ovvie e straviste – l’ho trovato davvero insopportabile. La cosa davvero triste è che di tutti i film italiani che c’erano a Venezia nel 2007, questo era forse il migliore.

  7. Riccardo ha scritto giovedì 17 gennaio 2008 13:49

    A proposito di esplosioni, mostroni e simili: cosa ne pensi di Cloverfield?

    Di nuovo, qual è lo specifico cinematografico? Lo so che questa espressione sembra un vecchio arnese dell’estetica del secolo scorso, ma forse proprio questa distinzione tra retoriche è legata intimamente a quell’estetica.

    Cos’è Heimat? Del quale Mereghetti (a proposito della seconda parte) diceva “il primo assaggio di storia del cinema degli anni Novanta”.

    Cos’è Berlin Alexanderplatz?

    Cito: “Il cinema avendo perso la centralità nel sistema dei media a causa della forza centrifuga della tv, deve fare sempre più ricorso alle modalità interattive con il resto del sistema mediale per potersi nuovamente riposizionare”(Fuori campo. Teorie dello spettatore cinematografico di Fabrizio Denunzio, p. 169).

    e ancora: “è possibile prevedere quali sconvolgimenti apporterà alla vita dell’uomo la congiunzione di queste tre tecniche oggi embrionali: la radio, il cinema, la televisione. […] Questa sintesi si realizzerà non senza difficoltà. […] Prima di arrivare a questo, vedremo indubbiamente il mondo del cinema percorso da molti sussulti. La televisione, prima di confondersi con lui, lo colpirà a morte” (p. 174 dello stesso libro, citazione da Cinéma total di René Barjavel).

  8. Alberto Cassani ha scritto giovedì 17 gennaio 2008 14:17

    Mah, “Cloverfield” un po’ mi incuriosisce, ma diciamo che non mi strapperò i capelli se non potrò andare all’anteprima stampa… Merita di essere studiata la campagna di marketing, però, anche se aspetterei i primi risultati del box office per capire se il risultato non è un altro “Snake on a Plane”.

    Per quanto riguarda le serie che citi, sfortunatamente non ho visto nessuna delle due. O meglio, ho visto solo i primi due capitoli della prima serie di “Heimat”. Il fatto comunque che siano film a episodi non vuol dire che siano un prodotto televisivo invece che cinematografico. Se vogliamo, anche i film di Truffaut su Antoine Doinel sono “semplicemente” episodi della stessa serie. Per quel poco che ho potuto vedere, “Heimat” è un singolo film diviso in tanti capitoli distribuiti singolarmente (o a gruppi) per motivi di lunghezza. Il linguaggio tecnico usato è prettamente cinematografico, e anzi a tratti originale se non innovativo. Pur essendo stato ignorato dal pubblico non germanico, “Heimat” è sicuramente uno dei prodotti del cinema europeo più importanti degli anni Novanta, che però non mi pare sia riuscito a influenzare in alcun modo il cinema contemporaneo e successivo.

    Cos’è lo specifico cinematografico non è semplice dirlo, sempre che io abbia capito cosa intendi. Diciamo che in teoria il linguaggio cinematografico utilizza (o può utilizzare) lo spazio dell’inquadratura in maniera specifica grazie al grande schermo e al rapporto fisso altezza:lunghezza, ha una gestione del ritmo globale (mentre la narrazione televisiva deve sempre considerare le pause pubblicitarie e quindi spezzare il racconto) e presume una totale attenzione da parte dello spettatore (mentre la televisione presume una distrazione, di qui la necessità di ripetere i concetti più volte).
    Va detto che negli ultimi anni il linguaggio delle serie televisive statunitensi si è fatto molto più cinematografico, mentre invece quello delle fiction italiane è sempre rimasto molto “statico”, quasi da telenovela. Ma in ogni caso, questi tre punti di separazione sono sempre rimasti fissi (anche se il primo vacilla un po’, più per colpa del cinema che per merito della Tv).

    In ogni caso, straordinaria l’attualità di quanto scritto da Barjavel.

  9. Riccardo ha scritto giovedì 17 gennaio 2008 15:31

    Tutto sacrosanto, ma questo discorso mi fa ripensare alla distinzione medium freddo-medium caldo che faceva McLuhan (medium caldo/alta definizione/passività/cinema – medium freddo/bassa definizione/necessità di partecipazione/televisione).

    La questione tecnica penso che non sia essenziale. La cosa interessante è la questione psicologica. La formazione di una nuova soggettività spettatoriale. Lo spettatore cinematografico non è più “psicologicamente solo come il silenzioso lettore” già da tempo.

    Forse siamo in una fase di transizione e il medium cinematografico non ha mezzi per soddisfare le necessità di questa soggettività emergente e quindi li sottrae al medium televisivo. Forse in futuro il cinema elaborerà una risposta personale a queste esigenze. Io leggerei i fenomeni Clovefield e simili come tentativi di andare in questa direzione.

    Naturalmente dico questo sapendo bene che quando si parla di fase di transizione o possibili rivoluzioni in atto c’è sempre il rischio di esagerare per poter provare “la sensazione alquanto vertiginosa, di essere testimoni di un momento chiave della storia del pensiero” (Farsi carico di Manuel Cruz).

  10. Alberto Cassani ha scritto giovedì 17 gennaio 2008 15:47

    Uhm… no, credo che McLuhan qui sia fuori luogo. Ma in effetti, questa è la mia opinione su quasi tutto quello che McLuhan ha detto…

    E’ fuori di dubbio, comunque, che il modo di fruizione dello spettacolo televisivo è sempre stato diverso da quello cinematografico, e questo al di là dello spettacolo cui si sta effettivamente assistendo, quindi al di là dell’aspetto tecnico – che comunque nella creazione del prodotto è importantissimo.
    E’ vero che lo spettatore cinematografico, pur essendo insieme ad altri, è solo nella visione del film. Invece, davanti alla Tv è raro che non si commenti e non ci si scambi opinioni. Questo, tra l’altro, penso sia la ragione dietro il generale imbarbarimento degli spettatori cinematografici, che ormai chiacchierano tranquillamente durante il film e usano il telefonino per telefonare e mandare messaggi.

    Personalmente, comunque, non penso che si sia davanti ad una vera e propria rivoluzione in senso stretto. E’ un momento di transizione come il cinema ne ha passati tanti, in realtà molto meno netto rispetto ad altri (il sonoro e il colore, tanto per dirne due). E’ un cambiamento stilistico (ma non solo) spalmato su un periodo di tempo piuttosto lungo, che forse farà la storia del cinema (e della Tv) ma che in questo momento non siamo ancora in grado di definire bene, neanche dal punto di vista temporale.

  11. Riccardo ha scritto giovedì 17 gennaio 2008 16:36

    [come avrai già capito lavoro al pc]

    Quello che dici a proposito del cambiamento stilistico è molto interessante (detto tra parentesi: come la mettiamo con la rivoluzione digitale? Come verrà storicizzata?).

    Il mio rivolgermi a McLuhan era proprio fuori luogo, nel senso che cercavo di portare il discorso in un altro luogo: quello dell’analisi psicologica dello spettatore.

    La tua osservazione sull’aspetto tecnico dell’evento cinematografico, mi ha fatto pensare all'”alta definizione” di McLuhan e al fatto che ormai l’High Definition pervade il mondo intero.

    Ormai lo spettatore è capace e ha voglia di rielaborare anche i prodotti che un tempo erano chiusi e definiti. In una serie televisiva la cosa sembra scontata (pensiamo a Twin Peaks o a Lost). E quindi è ovvio che la cosa sia partita da lì. Ora non vorrei tirare fuori l’odiosa nozione di spettautore, però è di questo che si parla. Ma forse questo è un altro discorso. Anzi togliamo pure il “forse”.

    Tu criticavi un certo malcostume di alcuni registi e sceneggiatori italiani e su questo non posso che darti ragione. Però io vedo dietro questo fenomeno (e dentro mettiamoci pure le extended version per la tv) qualcosa che non può essere intrepretato solo in chiave economica. Il “gusto” (e usiamo pure questa categoria polverosissima) sta cambiando e dentro la paraculaggine dei registi si annida il germe del cambiamento.

    Scusa per aver monopolizzato lo spazio per i commenti.

    Ti lascio la mia email:
    riccardo_mercati@hotmail.it

  12. Riccardo ha scritto giovedì 17 gennaio 2008 16:38

    avevo scritto un lungo commento, ma non è stato pubblicato. spero che tu possa recuperarlo. ciao

  13. Sebastiano ha scritto giovedì 17 gennaio 2008 18:43

    Il problema e’ uno solo: il pubblico al cinema si comporta come fosse a casa propria. Orrore! Ti trovi gente che nel mezzo di un film esce a sgranchirsi le gambe, va a prendersi da mangiare… Segni che il film non lo interessa, ma anche segni di grave debolezza culturale.

  14. Fabrizio ha scritto venerdì 18 gennaio 2008 14:37

    Anche io ho trovato “La ragazza del lago” un film sufficiente e nulla più, non mi ha affatto convinto a differenza di ciò che scrive certa critica. Però è vero che è forse fra le cose migliori espresse dal cinema italiano negli ultimi tempi (anni).

    Devo dire comunque che se da un lato il look della pellicola è televisivo, dall’altro resta comunque apprezzabile perchè funzionale all’ambientazione e all’atmosfera che si vuole creare, quella realistica e tangibile del paesino italiano dietro l’angolo.

    La prima parte del film è interessante e piuttosto accattivante, poi però andando avanti le premesse si sfaldano e non c’è alcun crescendo significativo. Il finale poi lascia l’amaro in bocca perchè, come ha detto Alberto, è troppo ‘spiegato’ e fondamentalmente privo di spessore; una risoluzione che non ripaga le attese.

  15. Alberto Cassani ha scritto venerdì 18 gennaio 2008 15:17

    No, ma il problema della “Ragazza del lago” non è l’aspetto visivo, è la sceneggiatura. Al di là dell’aspetto ‘giallo’, il film è tutto troppo spiegato, anche nei minimi dettagli. Per fare un esempio che mi ricordo ancora sufficientemente bene: quando il protagonista va in ospedale a trovare sua moglie non dice una parola o giù di lì, ma il modo in cui reagisce al fatto che lei non lo riconosce rende evidente che sono due persone molto legate. Lui ha una figlia, quindi è ovvio pensare sia sua moglie. Poi se ne va e sale in macchina e nel corso di una scena per il resto del tutto inutile l’assistente gli chiede “come sta sua moglie?”. Poi arriva a casa e sua figlia gli chiede “come sta mamma?”. Che cazzo, abbiamo capito! Evidentemente, però, se la massaia era in cucina a spentolare non avrebbe potuto capire bene…

    Su quanto ha scritto Riccardo (strano che il commento fosse stato bloccato dall’antispam), nel mondo del cinema non si muove foglia se i produttori non ci vedono dietro la possibilità di un guadagno economico. E’ impossibile dire se le extended version siano una ricerca di nuovi guadagni che ha poi portato un cambiamento nello spettatore, o un cambiamento dello spettatore che è stato incanalato per creare nuovi guadagni; è come chiedersi se è nato prima l’uovo o la gallina.
    Resta il fatto che il cambiamento c’è e c’è stato, e tutto sommato fa parte della ‘rivoluzione digitale’ ancora in atto: se monti un film in pellicola invece che con il computer ci metti una vita a creare due versioni diverse, e quindi questa nuova ‘moda’ è espressione intrinseca dell’era digitale.
    Il computer (in senso lato) ha cambiato profondamente il modo di fare cinema, e di riflesso ha cambiato profondamente il modo di fruire cinema. Non ho idea di cosa ci sarà scritto sui libri di cinema da qui a trent’anni, fatto sta che questo è un momento di svolta nella storia del cinema, anche i cambiamenti importanti non avvengono da un giorno all’altro. E d’altra parte, è importante notare che per la prima volta i cambiamenti in atto nel cinema riguardano tutta la società e non solo i modi di produzione cinematografici.

    E a proposito di spettautore e di interazione con l’opera filmica, è molto interessante l’esperimento fatto qualche mese fa dal regista Bruce McDonald, che ha messo a disposizione sul suo sito internet tutto il girato del suo film “The Tracey Fragments” con anche i file di digitalizzazione di Final Cut in modo che gli utenti potessero rimontarsi il film come gli pareva, indicendo anche un concorso per il miglior montaggio alternativo, il cui vincitore sarà inserito nel dvd del film.

  16. Fabrizio ha scritto venerdì 18 gennaio 2008 18:23

    Una cosa, Alberto: si può dire che oggi praticamente tutti i film sono montati digitalmente, anche quelli girati in pellicola? Ovvero si gira, si digitalizza, si monta e poi si stampa il negativo. Il procedimento ormai dovrebbe essere questo, o no?

  17. Alberto Cassani ha scritto venerdì 18 gennaio 2008 18:46

    Direi proprio di sì.

  18. Fabrizio ha scritto venerdì 18 gennaio 2008 19:07

    Se non altro, tornando alla “Ragazza del lago”, bisogna fare i complimenti a chi ha montato il trailer, perchè quello era veramente bello. E secondo me è anche grazie al trailer se molta gente si è interessata a questa pellicola. Ne sono convinto. Visto al cinema, sortiva un bel richiamo sul pubblico.

  19. Claudia ha scritto venerdì 1 febbraio 2008 13:21

    finalmente qualcuno che dice la verità su “La ragazza del lago”… degna della Taodue o come si chiama che riempie la tv di gialli improponibili… grazie Alberto, pensavo di essere l’unica a pensarla così

  20. Alberto Cassani ha scritto venerdì 1 febbraio 2008 14:13

    No, no: siamo una sparuta minoranza, ma ci siamo.

  21. Riccardo ha scritto martedì 5 febbraio 2008 19:32

    Aspetto con ansia un commento su Cloverfield. Soprattutto alla luce dell’imminente sequel o prequel e di quanto abbiamo discusso qui.

  22. Alberto Cassani ha scritto martedì 5 febbraio 2008 20:33

    Beh, “Cloverfield” non mi è dispiaciuto, ma non è nulla più di un onesto film di serie B con la “novità” dello stile da “found tape”. Sullo stesso stile, molto meglio l’horror spagnolo “Rec” che uscirà da noi tra qualche settimana. Ma anche il coreano “The Host”, sullo stessissimo tema.

    L’idea del sequel ancora non è chiara: inizialmente avevo letto della possibilità della stessa storia raccontata da un altro gruppo di persone, poi di un prequel che racconta l’origine del mostro e quindi di un “normale” sequel. Un secondo capitolo, comunque, è una possibilità concreta, però il film si è sgonfiato in fretta (-70% di incasso, nel secondo week-end di programmazione negli Stati Uniti) e non sono sicuro che il sequel potrà davvero essere un successo.
    Riguardo l’aspetto seriale della narrazione, invece, il racconto da un altro punto di vista avrebbe potuto portare a una specie di “Lost” (non a caso il produttore è Abrams). Ma in ogni caso, anche se gli autori hanno preferito lasciare in sospeso un sacco di domande non mi sembra che ci sia/fosse una volontà di mettere in scena un racconto seriale.

  23. Cuccussette ha scritto lunedì 5 maggio 2008 04:04

    A me non è dispiaciuto poi così tanto, La Ragazza del Lago, anche se ne vedo i limiti. Mi sarebbe piaciuto di più tagliando una decina di minuti di scene che rallentano il ritmo, ma avevo sempre pensato fosse una mia pecca, che amo i duri romantici alla Chandler più che la ricercata lentezza di Simenon!
    Amo comunque i gialli e i noir quindi ogni tentativo per diffondere il genere lo accolgo con gioia. Se la gente apprezza qualcosa di diverso dal solito possono nascere più opere di genere, e certo non tutte saranno capolavori, ma su tante qualcuna potrà anche essere bella

  24. Alberto Cassani ha scritto mercoledì 7 maggio 2008 17:42

    Scusa se il tuo commento va on-line solo adesso, Cuccussette: non mi ero accorto che era rimasto bloccato dall’antispam.

    Comunque, in realtà il mondo cine-televisivo è sempre stato pieno di gialli e polizieschi, il problema è che l’immaginario italiano ha dovuto sorbirsi cose sempre piuttosto “rustiche”. L’Italia è la terra del maresciallo Rocca, non di padre Brown o dei personaggi pulp. Anche quando ci mettiamo a copiare gli States, lo facciamo a tarallucci e vino. E questo non rende un buon servizio al genere, perché la gente perde l’abitudine al giallo “vero”, alla storia in cui ciò che conta è la ricerca del colpevole e non i problemi di chi indaga.
    “Una volta che nella storia muore qualcuno, l’unica cosa che tutti vogliono sapere è chi è stato”, diceva Ed McBain. Evidentemente, costruire un intreccio giallo davvero valido va al di là delle capacità dei nostri scrittori-sceneggiatori, o al di là degli interessi dei nostri editori-produttori.

  25. Luca ha scritto venerdì 17 giugno 2011 15:03

    Si, il cinema sta’ assomigliando sempre di più alla televisione. e’ lamentabile ma e’ cosi.

  26. Alberto Cassani ha scritto venerdì 17 giugno 2011 15:40

    L’importante è rendersene conto, ma mi sembra che molti (anche tra i critici) non se ne accorgano. Che poi la cosa possa anche portare dei benifici, non c’è alcun dubbio, come capita sempre quando due arti si contaminano a vicenda, ma giore della sostanziale debolezza di una cosa rispetto all’altra – come fanno purtroppo certi critici che si occupano di televisione – mi sembra davvero ridicolo.

  27. matteo casinico ha scritto giovedì 20 ottobre 2011 14:30

    il problema, secondo me, è voler etichettare qualcosa a tutti i costi… ma questa abitudine può essere controproducente e si rischia di ignorare delle belle produzioni solo perché ci si ferma alle apparenze di un’etichetta messa da chissà chi.

  28. Alberto Cassani ha scritto giovedì 20 ottobre 2011 14:57

    Be’, in realtà le etichette sono nate per far capire al pubblico di che tipo di prodotto si parla. Il problema penso sia nell’uso che si fa di queste etichette, che non solo genera confusione ma svilisce anche l’argomento della discussione. Però in questo caso specifico parlavo proprio della capacità di riconoscere l’argomento da parte di chi ne parla: la televisione non è cinema, tanto quanto la pittura non è scultura. Non voler riconoscere questa differenza (peggio ancora non SAPER riconoscere questa differenza) è una cosa negativa innanzi tutto per cinema e tv, e di riflesso per gli spettatori. Che poi ci siano prodotti televisivi infinitamente migliori di molti film è fuori di dubbio, ma gli spettatori dovrebbero essere informati su ciò che stanno per vedere.

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