Eyes Wide Shut

Scritto da Alberto Cassani lunedì 30 gennaio 2012 
Archiviato in Quelli che scrivono...

Uno degli adagi più amati da quelli che si occupano di cinema vuole che le storie fossero state raccontate tutte già ai tempi di William Shakespeare, e che quindi il cinema moderno non possa far altro che rimasticarle e riproporre in nuova veste qualcosa che già conosciamo. Del mondo della critica cinematografica, in fondo, potremmo dire la stessa cosa: ogni tipo di approccio critico è già stato sperimentato, e ogni possibile stile di scrittura è già stato sfruttato. Eppure, ogni tanto, salta fuori qualcuno che suscita interesse ed entusiasmo tra i lettori per il modo di porsi (rispetto al cinema) e proporsi (di fronte ai lettori). In realtà si tratta quasi sempre di un semplice “flavor of the month”, che non aggiunge nulla all’universo della critica ma che ha il (non indifferente, ancorché spesso casaule) pregio di toccare un tasto cui in quello momento i lettori sono particolarmente sensibili. Tommy Edison è un’altra cosa.

Al di là del divertimento nel vedere i suoi video, e dei pensieri che ci possono suscitare riguardo il rapporto tra i disabili e il cinema, in realtà il suo è davvero un modo nuovo, unico, di pensare al cinema. Insomma, si può pensare di togliere il colore a un film che si sta guardando per non lasciarsi abbagliare dagli effetti speciali, come Roger Ebert confessa di fare spesso; si può anche pensare di togliere l’audio per vedere quanto un film sia realmente un film e non soltanto un testo illustrato, come magari Peter Greenaway fa ogni tanto; ma togliere l’immagine? L’immagine è parte integrante del cinema, da sempre: in origine il cinema era privo di suoni, ma non avrebbe potuto esistere senza l’immagine. L’immagine è l’essenza del cinema, più di ogni altro suo elemento. Eppure… eppure è proprio questo che rende particolari le video-recensioni di Tommy Edison: perché, come dice lui stesso nel suo sito internet, lui guarda un film per la storia e la recitazione. Non potendo farsi distrarre da belle inquadrature e dalla computer graphic essendo cieco dalla nascita, si trova in una posizione privilegiata per valutare l’uso della voce da parte degli attori, lo sviluppo dei personaggi, l’efficacia dei dialoghi e la loro capacità esplicativa ma anche l’apporto che la musica e gli effetti sonori danno allo sviluppo della trama e alla creazione dell’atmosfera. Quanti critici vedenti, ad esempio, avrebbero detto che in L’altra faccia del diavolo la quasi totale assenza di musica fa sembrare il film molto più lungo degli 83 minuti della sua durata?

Certo, è ovvio che non potendo vedere Edison sarà felice quando i dialoghi spiegano in maniera per noi ridondante ciò che le immagini ci hanno appena mostrato, ma questo gli permette di giudicare molto meglio di noi quanto una sceneggiatura sia realmente “di ferro” e quanto invece si affida per la sua efficacia ad altri elementi filmici. Vero, il suo essere cieco vuole dire che non ha idea di chi sia Keyser Soze, ma lo mette anche nella situazione di poter giudicare un film come Clerks senza farsi irretire dalla povertà delle immagini.

E poi ha un enorme vantaggio su tutti noi: non lo si può incastrare col giochetto del 3D!

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