La scomparsa della critica

Scritto da Alberto Cassani giovedì 22 settembre 2011 
Archiviato in Quelli che scrivono...

Esperto di mezzi di comunicazione di massa, Livio Balestri tiene sul sito del Guerin Sportivo una rubrica fissa – Telecommando – in cui racconta e analizza il modo in cui televisioni e giornali si sono occupati di sport nella settimana appena passata. In occasione degli Europei di basket appena conclusi si è lasciato andare a una disamina piuttosto amara e sopratuttto amareggiata sul modo in cui in Italia si scrive della nazionale. Non solo quella di pallacanestro ma anche quella di calcio. Ovviamente Balestri ha poi esteso il discorso a tutta la stampa sportiva, ma non è difficile capire quanto sia centrato anche se lo si traspone nell’ambito della critica cinematografica.

Vi riporto qui sotto il suo articolo, in versione quasi integrale (e rubandogli pure la foto a corredo), pubblicato sul Guerino lo scorso 6 settembre. Per leggerlo nella sua interezza cliccate qui.

La crisi del movimento del basket italiano è chiarissima: l’altra sera mi aspettavo caroselli di auto nelle strade malgrado la nazionale avesse vinto gli Europei, e invece nessuno. Così come è stato sorprendente lo scarso entusiasmo dopo la strepitosa vittoria della nazionale di calcio a suon di gol e gioco dei giorni scorsi.
Sono rimbambito? No (o forse sì, ma questo è un altro discorso). Semplicemente ho letto i giornali nell’ultima settimana. I giornali che lanciavano la spedizione dell’italbasket in Lettonia con roboanti articoli sul metodo Pianigiani, sui tre geni della Nba […], senza un’analisi tecnica e tattica degna di questo nome, e se c’è stata ce la siamo persa. Zero. I risultati si sono visti, quattro partite e tanti cari saluti. E la nazionale di calcio? Contro i “simpatici” dilettanti […] delle Far Oer la goleada era annunciata in articoli che grondavano retorica e immagini liriche per la natura selvaggia delle isole sparse lassù. […] Morale: un solo gol, perdipiù in fuorigioco, due legni subìti, una fatica mostruosa anche fisica oltre che calcistica.
Questi in realtà sono solo gli ultimi due esempi di quello che mi sembra uno dei problemi maggiori del giornalismo sportivo attuale: la contiguità, la corrività, la mancanza di analisi. In una parola, il tifo. Soprattutto sulle squadre nazionali, dove non hai timore di esporti a critiche perché lodi l’Inter, o il Milan, o la Juventus: la nazionale è la squadra di tutti, e così sotto con le sviolinate, i pezzi di colore, i ritratti. Stesso discorso dei giornali locali (e dei dorsi locali dei grandi giornali), che mai si sognerebbero di criticare la squadra del posto. Analisi tecniche, tracce. O al limite, ex post, quelle più facili.
Motivi, tanti. Su tutti la trasformazione dei mass media – tutti, e non solo nel settore sport – in fogli dediti più al fiancheggiamento che alla critica, genere che è sparito. Tutto quello che accade è bello, ogni disco nuovo è ottimo, ogni campione un grande campione. Una laudatio frutto di pigrizia mentale, uno zinzino di cialtroneria, voglia di lisciare il pelo al pubblico dicendogli ciò che vuole sentirsi dire (siamo in epoca di crisi di identità, perché criticare quello in cui la gente crede?) che serve anche a mascherare la miseria dei tempi attuali. Non tutto è misero ovviamente, ma chi ha qualche anno è generalmente abbastanza sicuro che tempo fa il calcio era più divertente, e così la musica e anche i film. Come recita il più grande cantautore italiano di sempre, Enzo Jannacci, «se c’hai in mano solo mosche prova a dargli anche del tu». Teniamo poi conto che una volta lo sport visto in Tv era magari poco, ma tutto rigorosamente gratuito, canone RAI a parte. Adesso è una marea, ma in gran percentuale a pagamento. E ovviamente chi lo vende deve appunto venderlo, cioè fartelo sembrare la cosa più bella di sempre, per indurti a spendere.
Ma in generale, la critica è sparita anche dalla società, e non ci imbarchiamo in discorsi politici se non per dire che fino agli anni Settanta-Ottanta critica e analisi erano generi praticati a livello di massa, le cose difficili, o da capire, o degne di un ragionamento, erano considerate positivamente, la voglia di capire c’era. Poi sono arrivati i semplificatori, quelli che usavano poche parole d’ordine semplici, che invitavano a non pensare e non ragionare poi troppo: basta accomodarsi in poltrona e godersi lo spettacolo. E semplificando semplificando siamo arrivati alla situazione attuale, quella in cui, per dirla con un notissimo politico, «la media del pubblico italiano è intelligente come un ragazzo di seconda media che non sta neppure seduto nei primi banchi». E a pubblico di merda (pardon) corrispondono mass media di merda (mass merda?). Con le dovute eccezioni, naturalmente: il nostro è un discorso generale, fatto tagliando il salame a fette spesse. Ovviamente ci sono ancora isole piccole e grandi di resistenza. E siamo lieti di scrivere su una di queste.

Livio Balestri

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