L'assetato che beve la sabbia

Scritto da Alberto Cassani lunedì 20 febbraio 2012 
Archiviato in Quelli che scrivono...

Gilbert Keith Chesterton (1874-1936) è noto al pubblico (anche grazie allo sceneggiato con Renato Rascel) soprattutto per essere il creatore di Padre Brown, un prete cattolico responsabile di una parrocchia londinese che nel corso di 52 racconti risolve misteri di ogni genere e affronta cattivi di ogni ordine e grado. Ma oltre ad essere un narratore, Chesterton è stato anche poeta, giornalista e saggista.
Nel 2002 la Sellerio ha raccolto alcuni suoi articoli dedicati alla letteratura gialla nell’interessante volumetto Come si scrive un giallo. Il passo che segue è tratto da Due note su Sherlock Holmes, ed è molto facilmente adattabile ad ambiti narrativi diversi dal giallo e persino diversi dalla letteratura…

Ora, ci sono a Londra più di novecentonovantanove gialli e altrettanti investigatori immaginari, e quasi tutti sono cattiva letteratura o meglio non sono affatto letteratura. Se, come si usa dire, il pubblico apprezza i cattivi libri, non si spiegherebbe come mai l’unico investigatore immaginario che sia familiare a tutto quanto il pubblico è l’unico investigatore immaginario che sia un’opera d’arte.
Il punto è che la gente comune preferisce certi generi di opere, belle o brutte, a certi altri generi di opere, belle o brutte, e ha il sacrosanto diritto di farlo. Alle delicatezze psicologiche o ai più segreti umori dell’esistenza preferisce il sentimentale, il farsesco e tutto quanto concerne la materiale diplomazia della vita. Ma preferendo una data cosa, preferisce se possibile averla buona. L’uomo della strada magari preferisce la birra piuttosto che la crème de menthe, ma non ha senso dire che preferisce la cattiva birra piuttosto che la buona birra. Non legge George Meredith perché non vuole quel genere di libro, anche se è bello, e non lo vorrebbe nemmeno se fosse brutto.
Certo sappiamo tutti che esistono centinaia di Meredith pigmei eternamente impegnati nei loro sgradevoli ricami e nelle loro goffe dissezioni. La cattiva letteratura non è un’esclusiva del genere avventuroso. L’intera armata degli uomini della strada è grande quasi quanto l’armata dei giovani gentiluomini che considerano loro compito disprezzare l’uomo della strada. Eppure i sonetti di questi giovani simbolisti e i romanzi di questi giovani psicologi non si vendono come focacce nelle edicole e non si leggono ad alta voce nel chiasso delle osterie. Chi scrive un’opera letteraria come L’egoista non ha diritto di aspettarsi una popolarità pari a quella di Conan Doyle, non più di quanto il costruttore di incomparabili telescopi astronomici si aspetterebbe di venderli come ombrelli. Ma sarebbe proprio strano ricavare da questo che l’uomo comune ha una fatale e occulta propensione per i cattivi ombrelli.

Il che riporta al titolo di questo post, il quale si rifà a una battuta pronunciata da Michael Douglas in Il Presidente – Una storia d’amore che esprime sinteticamente lo stesso concetto espresso da Chesterton: «La gente non beve sabbia perché ha sete, beve sabbia perché non conosce la differenza.» Ossia: il pubblico vuole un certo tipo di film, ma perché l’industria cinematografica (italiana ma non solo) si impegna così tanto a dargli solo brutti esempi di questo tipo di film?

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