What every film critic must know

Scritto da Alberto Cassani mercoledì 31 ottobre 2007 
Archiviato in Quelli che scrivono...

Alcuni anni fa, quando l’esperto critico cinematografico di un importante quotidiano è andato in pensione, tutti si aspettavano che il suo preparatissimo vice avrebbe preso il suo posto. Invece non fu così, perché secondo il direttore di quel giornale “ne sapeva troppo, di cinema”.
Immaginate lo stesso editore fare lo stesso discorso a proposito di un critico letterario, o di teatro, arte, ballo, opera o architettura. Non succederebbe mai. Eppure sembra che il cinema – l’arte più accessibile e popolare di tutte – non sia messa sullo stesso piano delle altre.
Sfortunatamente questo ha portato ad un peggioramento generale della critica cinematografica, che è diventata principalmente descrittiva, aneddotica e soggettiva invece che analitica. La maggior parte delle critici si interessano principalmente al contenuto di un film – chiunque vi può dire cosa racconta un film – piuttosto che al suo stile, perché non hanno conoscenze sufficienti a farlo. Questo mi ha fatto capire che i critici cinematografici dovrebbero avere un’educazione formale alla materia, come ad esempio una laurea in analisi del cinema.

Io insegno storia e teoria del cinema in un’università statunitense, e so che molti dei miei studenti decidono di seguire i miei corsi perché li ritengono facili (e magari pensano persino di poter mangiare pop-corn a lezione). Ci mettono poco, però, a capire che si sbagliavano: imparare a ‘leggere’ un film è una cosa complicata, anche se divertente.

Credo che ogni critico cinematografico dovrebbe conoscere, ad esempio, la differenza tra una panoramica e una carrellata, tra key light e fill light, suono in presa diretta o ridoppiato, significato e significante, musica diegetica ed extra-diegetica. E dovrebbe sapere che l’uso del carrello o della profondità di campo può essere una scelta ideologica.
Deve conoscere i film di samurai come quelli ambientati nel Giappone moderno, deve avere familiarità con l’effetto Kulesov e il saggio di François Truffaut “Una certa tendenza del cinema francese”, deve conoscere la regola dei 180 gradi e sapere cosa vuol dire ‘saturare’.
Deve aver letto Ejzenštejn e Balasz, Bazin, Kracauer, Barthes, Metz e Daney.
Deve aver visto i film di Godard, Dreyer, Bresson, Renoir, Buñuel e Bergman; ma anche quelli di Straub e Huillet, Dulac, L’Herbier, Mrinal Sen, Margerite Duras, Naruse, Eustache e Brakhage. Deve essere ben preparato sul costruttivismo russo, l’espressionismo tedesco, il neorealismo italiano, il Cinema Novo, la Nouvelle Vague e il cinema di Dziga Vertov.

Questi dovrebbero essere i requisiti minimi perché qualcuno possa dire di essere un critico cinematografico. Ma a quel punto, potrebbe sempre non ottenere il lavoro perché “ne sa troppo, di cinema”.

Ronald Bergan, “Guardian Unlimited“, 26 Marzo 2007.

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Commenti

4 risposte a: “What every film critic must know”

  1. Fabrizio ha scritto venerdì 2 novembre 2007 01:24

    Uhm… Accidenti, a me mancano diversi autori fra quelli citati e i loro scritti, e non ho mai sentito parlare della regola dei 180 gradi (che immagino sia un’ovvietà).

    Per uno che non possiede una laurea in analisi del cinema, forse non è poi tanto male.

    Ad ogni modo quest’uomo dice cose sacrosante.

  2. Alberto Cassani ha scritto sabato 3 novembre 2007 12:59

    Per farla semplice, quando giri un dialogo dividi il set in due parti con una linea immaginaria che passa attraverso i personaggi. La macchina da presa deve sempre stare dalla stessa parte di questa linea, non la deve mai scavalcare, altrimenti si dà l’impressione che i personaggi non si stiano guardando.
    In ogni caso, credo che Bergan abbia volutamente esagerato le cose: credo che ci siano ben poche persone al mondo che abbiano visto e letto tutto quello che lui cita. Ma è una provocazione molto sensata: un sacco di ragazzi non sanno niente di cinema (nemmeno la differenza tra cinema e Tv) eppure vogliono fare i critici…
    Personalmente, comunque, mi ha fatto molto piacere veder citato il saggio di Truffaut “Una certa tendenza del cinema francese”, che è contenuto nel mio libro di cinema preferito, “Il piacere degli occhi”.

  3. Fabrizio ha scritto sabato 3 novembre 2007 14:19

    Sì, ho cercato la definizione su Wikipedia. La regola riguarda soprattutto il montaggio, per il fatto che se nello stacco da un’inquadratura all’altra la macchina da presa viene a trovarsi oltre la linea di cui parli senza ‘preavviso’ o un movimento semi-continuo, i personaggi risulteranno improvvisamente invertiti di posizione sullo schermo e ciò creerà disorientamento nello spettatore. Ciò dicasi anche – ad esempio – per gli inseguimenti in automobile, laddove una macchina che esce da un’inquadratura a destra, in quella successiva dovrà rientrare in campo da sinistra (e non da destra) per non disorientare il pubblico.

    Comunque ritengo che, pur estremizzando il concetto, la maggior parte dei concetti/argomenti citati da Bergan siano imprescindibili, per chi intende far critica cinematografica.

  4. Alberto Cassani ha scritto sabato 3 novembre 2007 17:33

    “Due personaggi in campo-controcampo devono essere inquadrati in modo che la macchina da presa sia, nei due piani successivi, dallo stesso lato della linea immaginaria che congiunge i due personaggi.
    Questa regola, elaborata empiricamente a partire dalla fine degli anni ’10 è giustificata da un desiderio di chiarezza; rimanendo dallo stesso lato della linea degli sguardi, la macchina da presa incrocerà sullo schermo le direzioni immaginarie degli sguardi, simboleggiando così in modo immediatamente sensibile l’incrocio degli sguardi dei personaggi.
    Esistono evidentemente, come per tutte le regole stilistiche o estetiche, innumerevoli eccezioni (ad esempio, in modo sistematico in Yazujiro Ozu), ma questa resta una regola ancora insegnata nelle scuole di cinema.”

    Jacquest Aumont e Michel Marie “Dizionario teorico e critico del cinema”, Lindau 2007.

    Potevano provare ad essere un po’ più chiari, in effetti…

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