La somma di tante irrilevanze
Scritto da Alberto Cassani lunedì 30 settembre 2013
Archiviato in Quelli che scrivono...
E’ diverso tempo, ormai, che i dati di vendita dei quotidiani nel nostro paese hanno un che di desolante. Ogni volta che vengono resi pubblici, quasi tutti segnalano una perdita di lettori – spesso notevole – rispetto alla rilevazione precedente. Tanti articoli sono stati scritti sull’argomento, e in tante occasioni i responsabili della carta stampata hanno parlato della cosa. Solitamente, l’opinione espressa da direttori e giornalisti gira intorno a un concetto che si può sintetizzare con la frase «E’ colpa di internet». Che è un po’ la risposta tipica del professionista italiano (ma non solo) quando le cose non gli vanno bene sul lavoro: dare la colpa a qualcun altro. Non credo di aver mai sentito un direttore di quotidiano o un giornalista professionista dire che il proprio giornale perde lettori perché ai lettori stessi non piace, men che meno dire che li perde perché è di qualità troppo bassa per poterli mantenere.
Nel sito dell’associazione culturale Doppiozero, Andrea Indiano ha scritto un anno fa che la causa principale della disaffezione attuale per la carta stampata deriva dal peccato originale di aver iniziato a diffondere gratuitamente le notizie su internet. Probabilmente è vero, ma nel momento in cui esistono blog e social network indipendenti in cui si possono avere notizie e approfondimenti gratuitamente, la stampa “vera” avrebbe avuto bisogno di una qualità superiore per giustificare l’esborso da parte del lettore. O quantomeno, avrebbe dovuto avere la capacità di offrire qualcosa di diverso. E questo, per lo meno in Italia, non mi sembra sia mai stato possibile visto il terrificante panorama dei mass media che ci portiamo dietro ancora dai tempi della lottizzazione della Prima Repubblica.
A quanto pare, i quotidiani italiani fanno di tutto per evitare accuratamente di offrire qualcosa di diverso o di migliore rispetto alle nuove tecnologie, infilando la testa sotto la sabbia di fronte ai tanti lettori che li abbandonano. Lettori che magari sono da loro considerati solo delle piccole irrilevanze – per riprendere una frase espressa da Alessandro Banda sempre su Doppiozero, nell’articolo che mi ha portato in origine a leggere quello di Indiano e da cui ho preso spunto anche per il titolo di questo mio post – e che invece nella loro moltitudine influenzano la vita (e spesso la morte) delle singole testate. E la vita e la carriera dei giornalisti più giovani.
E’ vero quello che aveva scritto sempre Indiano nel suo bel pezzo: «Non esiste al momento una richiesta dal mercato di nuovi giornalisti. Chi nel 2012 lavora come giornalista, con uno stipendio e un contratto duraturo, è probabile che lo faccia anche per meriti di anagrafe. Come ho detto però, si può ancora scrivere per vivere. Non è facile, e non è bello come essere inviati all’estero o vedere la propria firma su un pezzo di carta in edicola. Ma si può fare.»
Nella critica cinematografica è esattamente lo stesso: è molto difficile, ma si può fare. La critica cinematografica su internet esiste e gode pure di buona salute. Farne un mestiere, viverci, è difficilissimo ma non impossibile. Ma vale la pena provarci? Se si ha passione, direi proprio di sì.
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10 risposte a: “La somma di tante irrilevanze”
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Il punto è: ogni singolo articolo di giornale su Internet è pagato da una strabordante pubblicità. Quindi non ci vengano a dire che quelli che li leggono in rete (per la scelta degli stessi editori, fra l’altro. Chi è causa del suo mal…) non li ripagano perché non acquistano in carta. Semplicemente, poi, se non ci fosse internet io il giornale non lo comprerei: mi limiterei a leggere le locandine o le copie nei bar. Come me tanti altri, dunque il ragionamento interessato (che si fa anche, pure sbagliando, sulla pirateria) che ogni fruizione gratuita è un potenziale acquirente in meno non sta in piedi.
Ma infatti sono decenni che i giornali li leggono soprattutto i lettori casuali, quelli che comprano un quotidiano in una certa occasione per sapere qualcosa di più sul certo argomento. E questo lettore si è ora largamente perso perché si può trovare tutto quello che si cerca su internet. Non c’è nessun’altra ragione per comprare un quotidiano, visto che non aggiunge nulla. Poi è chiaro che tutto il discorso sui contenuti gratuiti via web è fallato alla base, ma secondo me il problema vero e proprio sta nel giornale, non nei suoi lettori.
Ma sei davvero convinto di ciò che sostieni in conclusione?
Sul fatto che si possa vivere di critica cinematografica? Io l’ho fatto per quasi dieci anni, non vedo perché non ci possano riuscire anche gli altri. Sono dell’idea che la qualità alla fine paghi: spazi su internet ce ne sono molti più di quanto ce ne sono mai stati sulla carta stampata, mi piace pensare che i miei amici che gestiscono siti importanti accetterebbero di far scrivere uno sconosciuto, se fosse bravo.
Forse perché hai iniziato a farlo in un periodo in cui c’erano le condizioni di base: buona offerta e discreta domanda. Ora, con una domanda ai minimi (salvo uno sia disposto a lavorare gratis) e un”offerta satura, il ragionamento dominante degli editori è: perché pagare un professionista quando posso avere cinque persone gratis? La qualità paga? Ma per favore! Per fare un esempio, posso citarti quanto accaduto un mese fa a RadioCinema, dove una pressocché intera redazione dimissionaria è stata rimpiazzata dall’editore con una sola persona, senza minimamente curarsi del calo di qualità che ciò avrebbe (e di fatto ha) comportato. Ma ne avrei a iosa.
Be’, ma RadioCinema è un esempio di malagestione, bruttura contro cui nessuno può niente. Poi è vero che il discorso degli editori è di diminuire se non azzerare i costi, ma non credere che i lettori non siano in grado di capire la differenza tra uno che scrive di cose che conosce e uno che improvvisa. Chiaro che oggi le condizioni sono molto diverse da quelle del 2001, ma in ogni campo che mi capita di frequentare, i siti e i blog di riferimento sono quelli fatti meglio. E di certo non è solo merito del SEO.
Una malalgestione che, purtroppo, di questi tempi è prassi. E anche tra i lettori c’è da fare delle distinzioni, non tutti hanno le competenze/conoscenze per distinguere un bravo critico da uno improvvisato. Ed è anche normale che sia così, dato che spesso si va sul web per cercare la trama di un film o al massimo un giudizio sommario, nient’altro. Poi, il fatto stesso che su una rivista tra le più note venga pubblicato un editoriale in cui si afferma che il primo film di Nolan sia Memento o che in talaltro, cliccatissimo sito, si spoileri l’impossibile, dimostra che all’utente di tutto ciò poco importi, ammesso che lo noti. La prova è che i responsabili, anziché essere buttati fuori a calci in culo, sono sempre ai loro posti.
Che l’incompetenza cresca rigogliosa non c’è dubbio, il mondo della critica cinematografica è pieno di braccia rubate all’agricoltura e lo è sempre stato, da che io so leggere (ma quello sugli spoiler secondo me è un discorso a parte). Però che al lettore non importi non sono assolutamente d’accordo. Il discorso cambia se lo ampliamo al “semplice” visitatore occasionale, ma il lettore interessato alla critica c’è e – per quanto ovviamente non totalmente ferrato sull’argomento – è tutt’altro che stupido.
Poi, comunque, non è che ho scritto che vivere di critica è facile: ho scritto che è difficilissimo ma non impossibile… Il mio ragionamento non è “nel nostro campo non ci sono incompetenti e tutto va benissimo”, bensì “se uno è veramente bravo spazio lo trova”.
Sul fatto che “se uno è veramente bravo spazio lo trova” non sono affatto d’accordo. I nomi stessi dicono l’esatto opposto. Poise ciò avviene è per meriti che poco e niente hanno a che fare con la preparazione.
Stiamo guardando la situazione da due momenti diversi: tu parli di chi è già nel settore, noi compresi; io mi riferisco a chi invece vuole entrarci. Se un bravo direttore di testata si trovasse davanti un giovane veramente bravo non riesco a credere che lo manderebbe a quel paese perché non si accorgerebbe della differenza. E’ chiaro che se a dover valutare è un incompetente, non può che scegliere l’incompetenza, e di questo abbiamo numerosissimi esempi. Ma per fortuna non tutti sono incompetenti, persino nel campo della critica cinematografica…