Diario di una festa che non c'è
Scritto da Alberto Cassani sabato 25 ottobre 2008
Archiviato in Festival
Sabato 1 Novembre 2008
E alla fine si è chiusa l’edizione 2008 del Festival-non-più-Festa di Roma, e senza troppo esagerare si può tranquillamente dire che si è conclusa nel disinteresse generale. Checché ne dicano i numeri – che vogliono un aumento del 4,5% di biglietti venduti rispetto all’anno scorso – in giro per l’Auditorium s’è vista molta meno gente rispetto agli anni scorsi. Oltre alla passerella di “High School Musical 3” di cui ho già detto, l’anteprima di alcune scene di “Twilight” è stata l’unico momento che ha realmente catalizzato l’interesse dei ragazzi (ma soprattutto delle ragazze) romani. Non è un caso che proprio i numeri ufficiali confermino un calo del 3,3% di visitatori dei luoghi del Festival-non-più-Festa.
Per quanto riguarda il lavoro di critici e giornalisti, per la delusione di molti devo segnalare che alla fine non c’è stato l’incontro-scontro tra il sottoscritto e un collega che me l’aveva giurata il primo giorno, ma mi fa piacere segnalare l’interessante scambio di messaggi tra me e Matteo Rovere dopo che il giovane regista romano ha letto la mia recensione del suo “Un gioco da ragazze“, scambio che probabilmente renderò pubblico una volta che si sarà esaurito.
Comunque, sono risultati accreditati 2.669 giornalisti. Personalmente, però, vorrei sapere quanti di questi accrediti sono stati realmente ritirati, perché sono stati diversi i colleghi (anche e soprattutto stranieri) che mi avevano preannunciato la loro richiesta di accredito ma che poi hanno deciso di non venire a Roma una volta visto il programma. A quanto pare la copertura stampa relativa al Festival è aumentata vertiginosamente, ma alle proiezioni stampa c’era decisamente meno gente rispetto al passato, e la foto qui sotto è esemplificativa del deserto che la sala stampa era diventata egli ultimi giorni (anche se il ritorno dei fotografi da passerelle e photo call la trasformava istantaneamente in una bolgia degna del Suk del Cairo).
La premiazione, quest’anno, è stata giustamente spostata dalla mattina alla fascia preserale. Giustamente ma forse incautamente, perché proprio la premiazione ha rappresentato l’unico momento in cui c’è stato da lamentarsi per l’organizzazione. Mentre negli anni scorsi i biglietti per l’accesso in sala ci erano stati consegnati con molto anticipo rispetto alla cerimonia, quest’anno ci siamo radunati fuori della sala un quarto d’ora prima dell’inizio previsto senza sapere assolutamente come il nostro accesso in sala sarebbe stato regolato. E infatti alla fine siamo entrati a spintoni anche se con il biglietto in mano, solo per trovare la sala (che non era quella grande usata nelle prime due edizioni) vuota per almeno un quarto. La conferenza stampa seguente ha visto pochissime persone in platea (e tra queste pochissime c’erano anche le volontarie della sala stampa, portate probabilmente lì di peso per far numero) e una moderatrice imbarazzata sul palco, e tutti non vedevamo l’ora di poter voltare pagina e lasciarci questa estenuante esperienza alle spalle.
Però, come ho detto, dal punto di vista organizzativo tutto è filato via liscio. In realtà la cosa di cui ci dobbiamo più lamentare è la mancanza di proiezioni stampa per alcuni film dei quali era invece prevista una conferenza stampa (come ad esempio il film di Vinterberg), spesso peraltro precedente alla proiezione per il pubblico. Il fatto che in sala stampa ci siano stati molti meno problemi rispetto al passato potrebbe dipendere semplicemente dalla nostra abitudine al luogo e ai ritmi di lavoro, o forse potrebbe dipendere dal fatto che dopo due giorni di Festival-non-più-Festa il responsabile della sala stampa (lo stesso dell’anno scorso) ha abbandonato la postazione e non s’è più fatto vedere…
Giovedì 30 Ottobre 2008
Clima di totale smantellamento, in questi ultimi giorni di Festival. Già ieri mattina, avendo saltato la proiezione di “With a Warm Heart“, mi sono ritrovato in una sala stampa totalmente deserta fatta eccezione per due fotografi stranieri e i due tecnici che si occupano dei computer. Ed è stato così fino alle 11, quando i giornalisti che avevano la mattinata libera hanno deciso di arrivare tutti insieme. Oggi è lo stesso, con metà dei computer lasciati liberi da giornalisti che preferiscono (giustamente) un caffé ad una mezz’ora di lavoro. D’altra parte quest’anno il Festival è stato particolarmente avido di grandi stelle e, programma alla mano, l’incontro con Colin Farrell di martedì mattina è stato l’ultimo evento ‘mondano’ cui la stampa popolare può essere interessata. Non sarà certo il pur bravo Giulio Manfredonia a smuovere l’interesse dei caporedattori di quotidiani. In sala stampa, quindi, siamo tutti abbastanza apatici e depressi. La voglia di lavorare non è che ci salti proprio addosso, anche perché non ci capacitiamo di come si possa aprire un Concorso Internazionale con il filmaccio di Maria Sole Tognazzi e chiuderlo con il filmaccio di Tsui Hark. e allora i discorsi calcistici si sprecano. Per fortuna, a rimetterci di buonumore ci ha pensato il simpatico Roberto Zardoz di Proiezioni Mentali, che ha allietato la nostra pausa pranzo con un buonissimo tiramisù fatto in casa.
E’ quindi già tempo di bilanci, e possiamo dire che il livello non è stato eccezionale, anche se ovviamente qualche buon film s’è visto. Ma è forse la legge dei grandi numeri, seguendo tutto un Festival è chiaro che bene o male le cose buone si trovano, ma la percentuale di porcherie è stata davvero alta. Cosa peraltro comune alla Venezia di quest’anno. E’ un peccato, comunque, notare che quasi tutti i film interessanti non hanno trovato (e probabilmente non troveranno mai) un distributore italiano e non si può non riflettere sul fatto che l’unico evento veramente festaiolo di tutto il Festival è stata la proiezione di “High School Musical 3” con annessa parata di cheerleaders e ragazzini festanti che agitavano i pon-pon.
L’amica Laura Croce di Radiocinema ha però centrato un punto importante del programma che in effetti era sfuggito a molti (me compreso, of course). La sezione “Anteprima” ha come direttrice Piera Detassis mentre Teresa Cavina è corresponsabile di “Cinema 2008” (che sono poi le due sezioni che compongono il Concorso principale), e la stessa Detassis si occupa del coordinamento artistico delle varie sezioni. Non è certo un caso che qui a Roma si siano visti molti ma molti (ma molti molti) più film con protagoniste delle donne rispetto alla selezione presentata a Venezia. E per questo bisogna fare i complimenti ai responsabili.
Mercoledì 29 Ottobre 2008
Nubifragio su Roma, nella serata di ieri, e ovviamente il Festival del Film ne ha risentito. Ero alla proiezione di “A corte do norte” di Joao Botelho delle 19:30 e abbiamo avuto un presagio del cataclisma cinematografico che avremmo assisitito da lì a pochi minuti. Il film, infatti, era in proiezione digitale e per qualche strano motivo il proiezionista si era dimenticato di regolare il contrasto dell’immagine.regolare il contrasto dell’immagine. Il risultato è stato una proiezione estramemente scura, in cui solo in centro dello schermo era realmente visibile e ai cui bordi si stagliava di tanto in tanto una lingua di luce bianca. E’ passato più di un quarto d’ora prima che il proiezionista si accorgesse del problema, fermasse lo show e ricominciasse da capo dopo aver regolato contrasto e luminosità del proiettore. Pochi minuti dopo la ripresa della proiezione, abbiamo cominciato a sentire la pioggia battere sul tetto della Sala Ikea.
La Sala Ikea, così come la Sala Lotto, è una sala provvisoria allestita appositamente per il Festival-non-più-festa nei dintorni dell’Auditorium. Essendo sostanzialmente un tendone, la Sala Ikea non è esattamente insonorizzata dai rumori esterni, il che comprende quindi anche la musica che arriva dal bar affianco. Ieri sera, però, la pioggia battente è stata talmente rumorosa che in diversi momenti era impossibile sentire i dialoghi del film (poco importa, visto che il film era in portoghese e quindi la lettura dei sottotitoli era obbligatoria). Il vento soffiava poi talmente forte da far volare sia le tende che chiudevano la sala dall’atrio sia – molto più preoccupante – molti dei piloni pubblicitari nell’area antistante la sala. Ma a noi è andata ancora di lusso, perché gli spettatori che nella Sala Lotto stavano vedendo in quello stesso momento l’ottimo “Galantuomini” si sono ritrovati con due dita d’acqua sotto i piedi e non poche difficoltà ad uscire dalla sala per rientrare nell’Auditorium. Peggio ancora, la sala dello Studio 3 è stata completamente alagata dall’acqua, essendo sotterranea, e la cosa ha costretto l’organizzazione a cancellare la proiezione di “Effedia – Sulla cattiva strada” di Teresa Marchesi.
Il mia ritorno a casa è stata una mezza tragedia, con la via Flaminia quasi completamente allagata e l’acqua che copriva totalmente i marciapiedi fino ad arrivare anche negli atri di alcune case. Per fortuna la metropolitana, che era ovviamente stata chiusa per allagamento un paio d’ore prima, è stata riaperta pochi minuti prima che io arrivassi alla fermata di Flaminio e quando sono tornato in superficie a Manzoni stava ormai spiovendo. Mi è andata bene, insomma, perché c’è gente che per arrivare a casa ha dovuto aspettare che passasse una gondola libera…
Domenica 26 Ottobre 2008
In riferimento alla proiezione per la stampa di “Parlami di me“, il film di Brando De Sica presentato in concorso ieri nella sezione Anteprima-Première, si comunica e si chiarisce che i giornalisti accreditati al Festival Internazionale del Film di Roma, per esigenze di lavoro, sono spesso tenuti ad uscire da una sala prima che la proiezione si concluda. Tale comportamento non è correlato ad un giudizio negativo sul film.
Il popolo di Roma dice: “Cazzo ci fa Rorschach ne “Il sangue dei vinti“?”
Sabato 25 Ottobre 2008
Quest’anno non siamo qui per una festa. In realtà, alla fine c’è stato poco da festeggiare anche nei due anni passati, ma adesso è ufficiale. Da quest’anno nuova amministrazione e nuovo Capitano sul ponte di comando, e quindi nuovi proclami e nuova etichetta. “Festival Internazionale del Film di Roma”. Qualunque sia, questo film di Roma.
C’abbiamo messo poco, comunque, a capire che anche quest’anno è sempre la stessa solfa, ed è bastato leggere il programma per capire che le idee della nuova direzione portavano ad una strada senza uscita, anche perché si sommavano ai problemi che ci si portava dietro dagli anni scorsi. Meno soldi, poche proiezioni per la stampa, eventi rari e mal distribuiti, concorso debolissimo e la fastidiosa abitudine dell’ultima Venezia di proiettare i film importanti e del Concorso alle 9 e alle 22:30. Ma d’altra parte, un Festival-non-più-Festa che apre con lo scialbo film di una figlia d’arte invece di valorizzare la presenza di Al Pacino i disastri se li cerca…
Dopo tre giorni, però, non si può negare che di cose interessanti se ne siano viste, anche se sfortunatamente nessuna di queste era un film. Dalle cialtronesche minacce di impiccagione ricevute il primo giorno dal vostro affezionato direttore alla quasi totale assenza di giornalisti stranieri in sala stampa, dalla manifestazione contro la nuova legge sulla scuola che mi ha costretto a sporcare con le mie scarpe il Red Carpet per poter uscire dall’Auditorium e andare in sala all’interessante questionario sul gradimento del Festival-non-più-Festa. Questionario che, tra le 34 (!) domande prevedeva anche “Come definirebbe a manifestazione nella sua interezza?”. Era solo il secondo giorno, ma la penna si è fermata alla casellina con un aggettivo che su CineFile siamo purtroppo costretti a usare spesso: “inutile”.
Il popolo di Roma dice: “Ando’ sta ‘sto reccarpett?”
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12 risposte a: “Diario di una festa che non c'è”
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Tre volte ho cominciato la domanda a Soavi, perchè tutti vogliono sapere la genesi della sua idea spettacolare di organizzare in coda al film una surreale rappresentazione-pastiche che mescola Antigone, Watchmen, l’opera e il video di “Around the world” dei Daft Punk.
L’ho inseguito ma poi sono stato sopraffatto dal dibattito politico, quando in realtà la misteriosa presenza di Rorschach meritava più commenti.
Mi dicono che l’incontro Pansa-Gasparri sul contenuto politico del film sia stato una cosa memorabile, con tifo da stadio e Placido che manda a quel paese il pubblico. Peccato non esserci stato…
Dev’essere bello il film di Brando De Sica! Quello che è andato a studiare cinema a Los Angeles, che c’ha il nonno che ha fatto il neorealismo, e che quindi ora è bravo bravo bravo ma proprio bravo!!! Come Edoardo Costa, che ha passato anni all’Actor’s Studio e quindi ora è un attorone-one-one! Dopo Silvio Muccino, ora mi tocca sorbirmi anche il figlio del figlio del povero Vittorio De Sica.
L’unica mia speranza è che lo stronchino sul nascere e che in futuro non trovi più nessuno che lo finanzi, così magari si darà alla pesca sportiva. Però già in partenza si è presentato – ovviamente – con suo padre al seguito (nervoso a iosa per me. E per voi?). Speriamo che in futuro questo non basti. Auguriamocelo.
Precisazione: ovviamente la presenza di Christian De Sica è giustificata dalla sua partecipazione al film, però il nervoso rimane tale comunque, nel vedere il suo faccione affianco a quello del figlio. Che due maroni…
Beh, se consideri che la mamma di Brando De Sica – che di cognoma fa Verdone – è proprietaria di una casa di produzione, è facile pensare che riuscirà ad avere una discreta carrierina…
Non sapevo che la signora Verdone avesse una casa di produzione… Considera però che per fare un filmetto medio servono comunque un pò di soldi, il che presuppone che la casa di produzione in questione si avvalga di finanziamenti “esterni”, come d’altronde quasi sempre succede. La mia speranza è che dopo un paio di fallimenti nessuno si lasci più convincere a investire sul giovane Brando e che rimanga in naftalina.
Ma magari sono io che mi illudo…
Grandissima anche la scena della struttura portante del tendone che comincia a ondeggiare e metà della sala che fugge come durante un terremoto, prendendo la prima scusa possibile per fuggire dal micidiale film di Tsui Hark. Vigliacchi!
Parli solo perché noi eravamo comodamente seduti dietro, dove non rischiavamo niente se non la sanità mentale, a guardare quel film…
A proposito di Brando De Sica (e della dura vita dei figli d’arte), si è giusto lamentato di quanto in Italia questa casta debba faticare di più per dimostrare il proprio talento. Che poi era più o meno quello che diceva suo padre Christian circa i suoi esordi.
Intanto però, chissà perché, questi figli d’arte non tentano mai strade alternative, tipo un lavoro che nulla abbia a che fare col cinema (al momento, eccezioni del genere non mi vengono in mente. Mi viene in mente semmai il figlio di Vasco Rossi che – a caso – è protagonista di “Albakiara”).
E in tutte queste “difficoltà” che i figli d’arte devono affrontare, intanto fa loro molto comodo pubblicizzare o i propri lavori accanto ai parenti illustri (che il più delle volte dirigono pure, infatti) o pubblicizzare se stessi e basta.
In conferenza stampa gli hanno posto proprio questa questione, e lui ha risposto che lui vuole fare il regista, mica lavorare in banca…
Ottimo intervento Tiziana. Certo però che ci vuole coraggio, a dire certe cose…
Poretto, Brando… è proprio un destino infido e bastardo, non c’è che dire. Beh, se proprio ci teneva poteva dire a papà di non pubblicizzarlo in ogni intervista da quattro anni a questa parte, inventarsi un nome fittizio con cui firmare le proprie opere (per lo meno all’inizio) come hanno fatto parecchi scrittori, registi ecc., cercarsi un produttore senza spendere il proprio nome, e superare con le proprie forze le dozzine di barriere intermedie che uno normale deve valicare prima di poter arrivare a presentare il proprio film d’esordio in concorso a Roma! Valà, pirla!
Esatto: il punto è che se un “povero” figlio d’arte deve superare degli ostacoli per dimostrare il suo (presunto) valore, un altro essere umano “comune” deve superarne infiniti anche solo per arrivare a trovare qualcosa con cui iniziare. E il film d’esordio arriva magari in un’altra vita.
Mica tutti i comuni mortali hanno certe occasioni per diritto divino e pure ereditario, o da bambini hanno giocato coi produttori amici di famiglia.
Poi bisogna vedere se nel DNA ereditano veramente l’arte o farebbero davvero meglio lavorare in banca..