Alcune note sullo scrivere recensioni

Scritto da Alberto Cassani martedì 14 aprile 2009 
Archiviato in Quelli che scrivono...

Poco prima di partire per il Vietnam, il personaggio di Bubba racconta a Forrest Gump che:

[…] il gambero è un frutto del mare. Te lo puoi fare sia arrosto che bollito, grigliato, al forno, saltato… C’è lo spiedino di gamberi, gamberi con cipolle, zuppa di gamberi, gamberi fritti in padella, con la pastella, a bagnomaria, gamberi con le patate, gamberi al limone, gamberi strapazzati, gamberi al pepe, minestra di gamberi, stufato di gamberi, gamberi all’insalata, gamberi e patatine, polpette di gamberi, tramezzini coi gamberi […]

…ma alla fine sono sempre gamberi.

Gambery Fantasy è un blog che parte da questo assunto e lo applica al panorama del fantasy mondiale:

…le solite cose servite centinaia di volte con poche modifiche, cosicché alla fine paiono tutte simili. Tutti gamberi. Raramente ci sono anguille in salamoia, insalate di polipi, vongole… E se la narrativa Fantasy è il caso più eclatante, non è certo il solo. I prodotti innovativi di qualità scarseggiano. Ci sono i gamberi. Più o meno freschi, più o meno marci. E se loro ci offrono solo gamberi, noi li trattiamo come gamberi. Gettiamo le reti in mare e le tiriamo su colme di gamberi ovvero libri, film, videogiochi…

All’interno di questo curioso e interessante progetto, a fine gennaio è stato pubblicato un bel prontuario dedicato a come si dovrebbe scrivere per il web la recensione di un libro. Ovviamente, i consigli che i Pescatori di Gamberi danno ai lettori si possono adattare anche – con le giuste attenzioni – alle recensioni cinematografiche, e allora riporto qui un lungo estratto del post.

Lo scopo di una recensione libraria dev’essere offrire al lettore un parere chiaro e inequivocabile rispetto al valore del romanzo preso in esame. Questo può essere ottenuto con poche o tante parole, con un esplicito giudizio numerico o lasciando che siano discorsi più articolati a esprimere il parere del recensore, non ha importanza, l’importante è che alla fine il lettore deve sapere se spendere 18 euro per comprare il tal romanzo o no; se vale la pena perdere 10 o 20 ore per leggerlo.
Ci possono essere mille distinguo e precisazioni – del tipo che magari il romanzo può piacere agli appassionati di Elfi ma comunque non vale 20 euro e dunque è un affare solo se scaricato gratis da emule – ma il recensore non può e non deve sfuggire dall’esprimere il suo giudizio. Deve prendersi la responsabilità di dire: vale la pena leggerlo, non vale la pena leggerlo.
Può sembrare un’ovvietà ma non lo è. Ci sono quintali di recensioni che parlano di tutto e di più e poi i commenti dei lettori sono di questo tenore: «…sì, d’accordo, ma non solo non ho capito se il romanzo mi potrebbe piacere, ma non ho neanche capito se è piaciuto al tizio che l’ha recensito!» Ecco, recensioni così sono da buttar via. Bisogna essere espliciti e prendere posizione. Perché, in generale, non ci sono vie di mezzo, non puoi presentarti alla cassa in libreria e discutere del più e del meno e dei Massimi Sistemi della Natura: o paghi i 18 euro o non li paghi. Questo non vieta che si possa parlare di romanzi senza esprimere un parere netto, solo non sono recensioni e il lettore ne dovrebbe essere consapevole.

Una recensione deve essere obiettiva. Questo significa che il recensore deve rendere noti (al limite nella recensione stessa) i criteri che intende adottare, e a quelli attenersi. Deve attenersi a quei criteri indipendentemente da quale romanzo prenda in considerazione, chi sia l’autore, la casa editrice o qualunque altro fattore esterno. Inoltre i criteri devono essere consistenti da recensione a recensione. […]
Una scelta a priori dei criteri è anche l’unica possibilità per il lettore di poter verificare l’attendibilità della recensione. Dato il romanzo, o al limite estratti dello stesso, e dati i criteri ognuno può controllare se quello che il recensore scrive sia obbiettivo o no.
Sempre in quest’ottica di obiettività, io considero più interessanti i criteri basati sul testo piuttosto che sull’interpretazione dello stesso. […] Rimanendo attinenti al testo si può dire molto su un romanzo, e dire un molto oggettivo, senza entrare nel pantano delle interpretazioni. Rimanendo legati al testo si possono fare affermazioni che sono vere in sé, e secondo me queste affermazioni sono le più interessanti, perché sono vere per tutti. Non sto più offrendo un servizio solo a chi condivide la mia filosofia […], ma sto offrendo un servizio a tutti.
Va da sé che i criteri per me perdono ogni validità quando vanno oltre il testo e l’interpretazione. Per me non ha alcun senso dire che un romanzo è bello o brutto perché l’ha scritto un autore piuttosto che un altro. O magari perché ha venduto tanto o poco, o perché ne hanno tratto un film o un videogioco. O perché aiuta l’economia favorendo la vendita di segnalibri. I criteri devono essere legati alle parole del romanzo, non a quello che ci gira intorno.

Oltre ai criteri obiettivi esiste anche un parere personale del recensore. Il recensore deve chiarire quando sta uscendo dai criteri per addentrarsi nelle opinioni. Se un romanzo ha sessanta pagine di fila di inforigurgito è un oggettivo errore (secondo i criteri adottati), e come tale lo si deve rimarcare. Poi si può aggiungere che le sessanta pagine, pur non muovendo in avanti la storia di un niente, contengono però – secondo il personale parere del recensore – delle informazioni interessanti e dunque il recensore medesimo non si è annoiato. In altri termini, i «secondo me», «per me», i «penso» e «credo» vanno riservati per quando è davvero così. Finché si seguono i propri dichiarati criteri non è opinione, è affermazione.

Il recensore deve poter applicare i propri criteri. Sembra scontato, ma non lo è. […] Se io adotto come criterio l’originalità, devo conoscere a sufficienza il genere per poter appunto affermare che il tal testo è originale o no. […] Se penso che la verosimiglianza in un romanzo (pseudo)storico sia importante, e il romanzo parla di un’epoca che non conosco o conosco poco, prima di scrivere la recensione devo documentarmi. E capisco benissimo possa suonare esagerato, in fondo spesso se ne fregano gli stessi autori, ma i criteri li ho scelti io.
Se non si può scrivere una recensione applicando i propri stessi criteri… bé, non la si scrive. […] Finché sono questioni marginali può passare, ma se sto recensendo un romanzo dove la guerra ha un ruolo fondamentale e non ne so niente […] non devo proprio scrivere la recensione di quel romanzo. Tutti pensano di essere più o meno geniali e di avere opinioni originali e interessanti: non è vero. […] Quando qualcuno scrive di un argomento è tanto più interessante quanto più è documentato e preparato. Perciò è inutile cianciare di ciò che non si conosce: si perde tempo e lo si fa perdere al prossimo.

Bisogna essere semplici, precisi e inequivocabili. La semplicità di linguaggio è necessaria dato che ci si sta rivolgendo a un pubblico di appassionati ma non necessariamente di “addetti ai lavori”. […]
La precisione è di vitale importanza. La precisione impone da un lato di usare un lessico appropriato, dall’altro di esprimere concetti il meno generici possibile. Le due cose sono strettamente legate fra loro; per esempio, a me è capitato di leggere infinite volte nelle recensioni frasi di questo tipo: «questo è un romanzo coraggioso», oppure «questo è un romanzo profondo» o aggettivi simili. Qual è il problema con affermazioni del genere?
Il lessico non appropriato crea ambiguità. […] Quand’è che un romanzo affronta con sprezzo del pericolo una situazione di vita o di morte (perché questo è il coraggio)? O forse ci si riferisce all’autore? Ma in Italia, 2009, quale coraggio ci vuole a pubblicare un romanzo? Al massimo si rischia una denuncia per diffamazione, non si rischia la vita. O forse si fa riferimento allo stile? «Un romanzo coraggioso perché sfida le convenzioni della narrativa!» Ah, che gran coraggio ci vuole a sfidare le convenzioni della narrativa! Lo stesso di Gary Cooper in “Mezzogiorno di Fuoco“! Si possono estrarre mille significati dementi dal quel coraggioso, ed è questo il danno: la recensione non è più inequivocabile, va interpretata, diviene ambigua. Proprio perché coraggioso è ambiguo, può essere affiancato a qualunque romanzo. “Nihal della Terra del Vento” è un romanzo coraggioso. “Il Nome della Rosa” è un romanzo coraggioso. “Bryan di Boscoquieto” è un romanzo coraggioso. Quando in una recensione si esprime un concetto così generico, applicabile a qualunque libro, si sta sprecando inchiostro. […]
Lo stesso dicasi per «profondo», «importante», «scomodo» e così via. Meno grave è quando l’affermazione non è ambigua ma rimane generica: «questo è un romanzo noioso», o il classico «questo è un romanzo bello/brutto». Detto così non vuol dir niente, il recensore deve illustrare perché quel «noioso» è applicabile in quel caso particolare. […] «Ne “La Setta degli Assassini” la protagonista piange ogni poche pagine: che noia!». […]
Lo stesso vale per lo stile di scrittura. Quante volte si leggono espressioni del tipo che il tal autore ha una scrittura «fresca», o «vivace», o «in punta di penna» (sic) o simili. Ma che vuol dire? Niente. […] È vero che spesso è difficile definire uno stile, e può essere conveniente usare un aggettivo generico, però almeno il recensore deve aver ben chiaro il perché ha usato proprio quell’aggettivo. Se dico che lo stile è «trasparente», devo poterlo dimostrare testo alla mano, anche se magari nella particolare recensione non è così importante inserire le appropriate citazioni.
Infine l’essere inequivocabili. In parte è compreso nella precisione, in parte significa che non bisogna contraddirsi (d’oh!). […] Essere inequivocabili implica anche evitare tutte le espressioni non quantificabili, tutti i «piuttosto», «quasi», «si potrebbe dire che», «n un certo senso». […]

Bisogna spiegare di cosa parla il libro; è necessario fornire la trama del romanzo. Spesso i recensori si lasciano trascinare in una sorta di delirio, per cui un romanzo affronta Argomenti Decisivi, pone l’Uomo di fronte ad Interrogativi Fondamentali, è una pietra miliare nella storia della Letteratura e quant’altro e si “dimenticano” di dire di cosa diavolo parla il romanzo. Per un sacco di gente, me compresa, l’argomento è importantissimo. I marziani invadono la Terra? Una ragazza dai capelli blu ammazza gente a destra e a manca con uno spadone? Una compagnia di Elfi debosciati deve salvare una principessa? Io lo voglio sapere! Il recensore deve perciò raccontare quale sia la trama, con due avvertenze: se si è colti da attacco di pigrizia e si decide di scopiazzare la trama dalla quarta di copertina o da qualche comunicato stampa della casa editrice è bene accertarsi che la trama sia quella giusta, spesso non è così; se si è in dubbio se svelare o no certi particolari, si possono sempre usare gli “spoiler”, sul web è facile mascherarli come si preferisce.
Entrare in argomento significa anche rimanere attinenti al testo. Dimostrare le proprie affermazioni con citazioni adeguate. Un sacco di romanzi arrivano in libreria senza che il lettore abbia potuto leggerne una sola pagina, perciò (ampi) estratti nella recensione sono i benvenuti (e ricordo a chi si facesse di questi problemi che è legale: è legale citare e riprodurre brani di un’opera finché l’intento è di critica o studio e non si sta facendo concorrenza all’opera originale). Siamo sempre dalle parti della precisione: la recensione è di quel particolare romanzo, dunque lì bisogna scavare, lì ci sono i punti di riferimento. Bisogna parlare di quel romanzo, non della Letteratura, dell’Uomo, della Natura, e del Diavolo-in-Carrozza.

Se si scrivono recensioni sui giornali o sulle riviste non si è liberi di scrivere finché si vuole: la carta costa e perciò sono imposti limiti ben precisi. Per fortuna sul web non è così: il costo di un testo in termini di banda consumata è infinitesimale, per cui scrivere poche righe o scrivere un trattato dal punto di vista economico è la stessa identica cosa. Per questa ragione non bisogna porsi alcun problema di spazio. Una recensione può essere approfondita a piacere, finché non corrisponde per filo e per segno a quel che il recensore vuole dire. Così pure non ci si deve porre problemi con le citazioni: se è opportuna una (lunga) citazione dal testo originale, inserirla è tutto di guadagnato.
Questo non significa però sbrodolarsi: non è una licenza per parlare dei problemi privati del recensore o per disquisire di argomenti che nulla hanno a che vedere con il testo; ogni riga della recensione deve avere un suo perché e ogni passaggio dev’essere interessante. Ma è raro imbattersi in recensioni sbrodolate, è molto più presente l’errore opposto: ovvero recensioni compresse in poche righe.
Qui entrano in gioco diversi fattori: pigrizia del recensore (ma se sei pigro e ti pesano le dita a scrivere forse non è il tuo “mestiere”), il desiderio bruciante di esprimere un’opinione anche se non si ha niente da dire (e in questo caso è molto meglio linkare qualcuno che già dice il poco che vorremo dire noi, piuttosto che riscrivere le stesse cose), e l’idea balorda che scrivendo sul web bisogna essere agili, veloci, compatti, brevi.
Perché è un’idea balorda? Perché il linguaggio sul web funziona come sulla carta, l’Italiano è lo stesso e dunque se per esprimere un concetto hai bisogno di 100 parole su una pagina stampata avrai ancora bisogno di 100 parole su una pagina web. È vero che leggere a video è più faticoso e si hanno molte più distrazioni davanti a un PC, ma questo è al di fuori delle possibilità di controllo di un recensore. […] Web o non web il significato deve mantenersi integro. Così una recensione: deve contenere quanto necessario che sia sul web o no.
Inoltre c’è un altro livello di balordaggine implicito nell’idea di scrivere apposta poco, di “condensare” i concetti: che scrivere poco sia facile. Non lo è. Può essere meno faticoso, meno impegnativo, portare via meno tempo, ma non è più facile, tutt’altro. Il riuscire a mantenere integro un argomento riducendo via via le parole è incredibilmente difficile. Una buona recensione da 2.000 parole può diventare uno schifo immondo in 500 se l’autore non è più che abile. […] Dunque il recensore non si deve porre problemi di spazio: deve scrivere quello che è necessario. Se la recensione risulterà interessante, sarà letta lo stesso, web o non web.

Il tono dev’essere funzionale. Le mie recensioni usano un tono tra l’ironico e il sarcastico. […] Altri possono scegliere di usare un tono diverso e potrà andare bene uguale, però è importante che questa scelta abbia motivazioni legate alla recensione medesima, e non “esterne”. […] Così come non ha senso ritenere che determinati argomenti (la Letteratura con la L maiuscola) debbano per forza richiedere un certo tipo di atteggiamento: perché mai? Ho letto testi di astrofisica scritti in maniera divertente e perfino con humor nero. […] Il recensore ha lo scopo di tenere appiccicato il suo lettore dall’inizio alla fine della recensione, e per questo deve scegliere il tono più congeniale, altre considerazioni a riguardo non hanno nessuna importanza.

L’autrice conclude poi il suo lavoro indicando una lista di frequently-asked-questions sull’argomento e provando a dare delle risposte. Eccone alcune:

Quali romanzi scegliere da recensire?
[…] Recensire in negativo romanzi sconosciuti è di solito inutile: tanto non li compra nessuno comunque. […] Però è un’idea generale che lascia il tempo che trova. La verità è che, come diceva Lorna Sage, la gran parte dei romanzi sono mediocri, li leggi e non ti lasciano nessuna particolare emozione né in bene né in male, dunque non si sa neanche cosa scrivere a volerli recensire. Perciò forse conviene scegliere romanzi interessanti, che in positivo o in negativo impressionino. Inoltre come già ricordato, è utile che il recensore conosca gli argomenti trattati dal romanzo, non fosse il caso, è meglio lasciar perdere quella recensione.

Bisogna leggere fino in fondo un romanzo per recensirlo?
No. È buona norma farlo, ma se un romanzo è illeggibile è illeggibile. Se bastano le prime 5 o 50 pagine per poter affermare con adeguata dimostrazione che non vale la pena spendere 18 euro, la recensione può essere scritta anche se il recensore lì si è fermato. […]

Perché scrivere recensioni negative? Non è meglio suggerire solo il bello e lasciare il brutto nell’oblio?
Può essere una degna scelta, e non ho problemi con chi la adotta. Però personalmente ritengo che in molti casi sia più utile non comprare il brutto, piuttosto che comprare (anche) il bello, e dunque il recensore deve recensire sia i romanzi che gli sono piaciuti sia quelli che gli sono piaciuti meno.

È troppo facile criticare!
No, per niente: scrivere una recensione negativa richiede lo stesso tempo di scriverne una positiva. Inoltre la pressione sociale favorisce la recensione positiva: posso “tagliare le curve” in una recensione positiva (per esempio non dimostrando testo alla mano ogni singolo passaggio) senza che nessuno ne sia scandalizzato, mentre una riga maldestra in una recensione negativa significa avere in casella di posta elettronica la mail di qualche squilibrata che minaccia di pikkiarmi

E’ curioso notare come l’autrice del post, che si firma Gamberetta ma in realtà si chiama Chiara, abbia appena 19 anni. Al di là di alcune semplificazioni espresse da Chiara, ci sono navigati professionisti che queste riflessioni non sono ancora in grado di farle…

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