Tre colori: rosso, blu e giallo

Scritto da Alberto Cassani venerdì 9 settembre 2011 
Archiviato in Festival, Quelli che scrivono...

Adesso che il Festival di Venezia 2011 (e con esso probabilmente l’era Müller) sta arrivando a conclusione, si può cominciare a tirare le somme su alcuni aspetti della sua organizzazione. Quello che più interessa un blog come questo Diario è la gestione degli accrediti, in particolare quelli stampa. La questione è presto sintetizzata ma difficilmente comprensibile a chi non calpesta le strade del Lido in questo periodo dell’anno: per volere delle case di produzione e distribuzione, il direttore Marco Müller è stato costretto negli ultimi anni a organizzare due proiezioni al giorno dei film in concorso riservate esclusivamente ai giornalisti accreditati per i quotidiani (dotati di pass di colore rosso) e anticipate rispetto a quelle per gli altri accreditati stampa (divisi in pass blu e pass giallo). Quest’anno Müller ha deciso di eliminare questa separazione e riunire di nuovo tutti gli accreditati stampa nella stessa proiezione. La ragione l’aveva spiegata lui stesso durante una conferenza stampa tenuta l’anno scorso e riportata da alcuni siti internet:

«Non dimenticatevi tra l’altro una delle modifiche a cui siamo stati costretti a partire dal 2006: i più grossi gruppi di produzione e distribuzione d’esercizio, una grossa fetta dell’informazione, hanno detto “non si possono più buttare i film in pasto a tutti questi recensori giovanili che magari tributano un’accoglienza terribile ai film, quindi ci vuole la proiezione in sala Perla prima di quella al PalaGalileo”. Ci è stata imposta questa cosa! Dopo aver fatto parecchie settimane di discussione su questo siamo arrivati a una situazione che io reputo aberrante, per la quale l’anno scorso Paolo Mereghetti e Goffredo Fofi (non ho timore a fare i loro nomi, perché sono stati visti più volte) alle proiezioni per la stampa quotidiana fischiavano i film di Herzog. Allora perché quella parte della stampa e dei media che fa così tanta paura non può esprimere le proprie opinioni e ci dobbiamo ritrovare in situazioni come queste? Ci sto pensando da almeno un anno ad annullare quella modifica perché questo permetterebbe tra l’altro di alloggiare definitivamente Orizzonti in sala Perla, com’è giusto e logico che sia, avendo le dimensioni giuste per far decollare la linea della sezione.»

Come detto, le riflessioni del direttore sono diventare decisione e quest’anno siamo ritornati tutti insieme appassionatamente nella stessa sala. La decisione si portava però dietro un grosso problema: la sala per le proiezioni stampa tiene 1.300 persone, e gli accreditati stampa e addetti ai lavori erano in passato sicuramente di più. Io ricordavo benissimo le lunghe attese dovute alla necessità di mettersi in fila prestissimo per riuscire a entrare in sala con un accredito giallo per vedere un film importante, così come ricordavo molto bene le gomitate in faccia volate in occasione della proiezione di Prima ti sposo poi ti rovino per riuscire a sfondare il muro della security e assicurarsi uno dei pochi sedili rimasti ancora liberi. La doppia proiezione aveva tolto tutto questo, perché senza i rossi (che non sono solo i giornalisti dei quotidiani ma anche gli “industry”, ossia gli addetti ai lavori, e le prime firme delle testate più importanti, anche on-line) la sala era grande abbastanza per accoglierci tutti e ci potevamo permettere di arrivare in fila all’apertura delle porte, una ventina di minuti prima dell’inizio della proiezione. Cosa sarebbe successo, una volta cancellata la doppia proiezione? Al momento di richiedere gli accrediti di CineFile avevo telefonato all’ufficio stampa per avere informazioni a riguardo, e mi era stato assicurato che rispetto al passato quest’anno ci sarebbero stati meno accreditati, proprio per via della proiezione unica e quindi del minor numero di posti a disposizione. Poi, però, quando a CineFile è stato dato un accredito in più rispetto all’anno scorso ho capito che saremmo tornati a lottare, per riuscire a entrare in sala.

Lido di Venezia, 1 Settembre 2011, ore 9:00. Secondo giorno di Festival. Si chiudono le porte della Sala Darsena (l’ex PalaGalileo di cui parlava Müller nell’intervista riportata più sopra) e inizia la proiezione di Carnage di Roman Polanski. In sala, solo ed esclusivamente accrediti rossi e blu (giornalisti di periodici ma anche persone accreditate per la stessa testata per almeno tre anni consecutivi, tra cui il sottoscritto); fuori, tutti gli accrediti gialli (siti internet e giornali locali) e pure diversi blu. Per recuperare il film perduto, agli esclusi della Sala Darsena non resta che aspettare la mattina dopo e vederlo al PalaBiennale insieme agli accrediti definiti “cinema” (verdi), ossia riservati a «chi opera in ambito cinematografico sotto il profilo culturale», quindi responsabili di cineforum, sale d’essai e studenti di cinema. Dopo un primo giorno poco frequentato, già dal secondo si manifestano in pieno tutti i problemi relativi al rapporto tra posti disponibili e accrediti concessi, ed è evidente che gli accrediti gialli non riuscianno a entrare alla Sala Darsena neanche nei giorni successivi. E’ solo nella seconda settimana, quando i film hollywoodiani si trasferiscono al Festival di Toronto e molta gente lascia il Lido, che gli accrediti gialli riescono finalmente a entrare in Sala Darsena con regolarità e in massa, potendo così tornare a svolgere il proprio lavoro nei tempi previsti invece che con 24 ore di ritardo. La rabbia degli accreditati gialli arriva a produrre un volantino fortemente critico nei confronti della capoufficio stampa del Festival Fiorella Tagliapietra e della cricca “rossa” che arriva in coda all’ultimo momento «puzzando ancora di cappuccino» e pretendendo di avere diritto di precedenza sugli altri accreditati che erano invece in fila da tempo.
Proprio all’inizio della seconda settimana, la sera di lunedì 5 settembre, abbiamo avuto modo di scambiare in maniera informale due chiacchiere con Marco Müller, che sull’argomento ha dato la colpa al fatto che la Biennale deve ospitare nelle sue sale due entità esterne come la Settimana della Critica e le Giornate degli Autori, finendo così per fare meno repliche e creando problemi a tutti. La realtà è invece diversa: che ci siano code per entrare in sala è comprensibilissimo, ma che ci facciano fare la coda per poi lasciare fuori un numero inaudito di persone è una cosa inaccettabile. L’organizzazione sapeva benissimo quanti posti avrebbe avuto a disposizione per le proiezioni, quindi avrebbe dovuto regolare di conseguenza il numero di accrediti. Ma un accreditato in meno sono 60 euro di meno nelle casse della Biennale (150 per gli addetti ai lavori), e appare quindi abbastanza ovvio cosa abbia spinto l’organizzazione a non ridurre il numero di accreditati nonostante ci fossero molti meno posti a disposizione per vedere i film. Una volta diminuito il numero di persone presenti nei luoghi del Festival, comunque, il problema si è quasi completamente risolto ed è stato apparentemente dimenticato, per lo meno fino a mercoledì 7, quando viene presentato il film di Cristina Comencini Quando la notte.

Come ha segnalato anche il nostro Tommaso Tocci nella sua recensione, alla proiezione per la stampa il film è stato accolto da fischi e risate a scena aperta che in un paio di occasioni sembravano decisamente pretestuose. La questione è annosa, perché i film italiani in concorso a Venezia sono quasi sempre trattati malissimo, e si dice persino che fu Michele Placido a chiedere a Müller, dopo i fischi ricevuti dal suo Ovunque sei, di impedire l’accesso alle proiezioni stampa agli accrediti “cinema”, che fino a quell’anno venivano fatti entrare in sala fino a esaurimento posti. Il dibattito comunque si accende fin dalla conferenza stampa di Quando la notte e rimbalza sui giornali del giorno dopo. Fatta salva la prevedibile convinzione degli autori di aver fatto un buon film che non meritava un tale trattamento («Non sempre ai festival l’emozione viene accettata, ci vuole coraggio per emozionarsi», dice la regista), sui quotidiani la questione viene spostata in modo sospetto. Inizia il produttore del film, Riccardo Tozzi, che dichiara «Non so se è un episodio spontaneo, tendo a non essere dietrologo: certo Müller e Baratta dovranno porsi il problema di questo tipo di proiezioni». Quello che evidentemente a Tozzi sfugge è che Müller il problema se l’era posto già l’anno scorso, e questo tipo di proiezione è proprio quello che lui ritiene essere la soluzione al problema.
Intanto sul Corriere della Sera, Paolo Mereghetti scrive «Se quella che ha accolto con un’indecente gazzarra Quando la notte di Cristina Comencini è davvero la “critica” (alla proiezione per la stampa il film è stato sbeffeggiato) allora urge un qualche ripensamento da parte di tutti: di chi fa questa professione ma anche di chi organizza i festival. Altrimenti il “pensiero unico” scacciato dalla porta rientra dalla finestra del gusto preconfezionato e conformista (vedi i fischi a Garrel e alla Bellucci)». Su Repubblica, invece, Natalia Aspesi parte dalla dichiarazione della Comencini per poi allinearsi all’opinione espressa da Mereghetti: «Il problema è un altro. Per mancanza di sale, alle proiezioni stampa si pigiano insieme critici, giornalisti e la cosiddetta “industry”, una massa di ragazzi molto estroversi, i nuovi cinefili, cui paiono fastidiosi certi dialoghi forse un po’ letterari».
L’opinione dei due giornalisti è quindi molto chiara, seppur espressa in due brevi frasi all’interno di pezzi ben più articolati: la colpa della caciara è degli accreditati con cui quest’anno sono stati obbligati a condividere la sala, e se si vuole un’anteprima stampa affidabile bisogna lasciar fuori gli altri. Ma non si tratta forse dello stesso Mereghetti che, stando alle parole di Müller riportate all’inizio, fischiava Herzog? E non si tratta forse della stessa Aspesi che in un’intervista a Variety risalente al settembre 2010 sempre Müller dice aver «disertato molte delle anteprime stampa chiedendo ai colleghi un parere sui film e costruendo i suoi articoli sulla chiacchiera, il sentito dire»? La Aspesi (tra l’altro non nuova a certe sparate) in realtà squalifica completamente il suo concetto dimostrando di non conoscere la differenza tra gli “industry” – ossia produttori, distributori e addetti ai lavori in genere che hanno un accredito rosso particolare che consente loro anche l’accesso ad aree riservate del festival e che fanno la coda insieme a lei per entrare in sala – e i “cinema” dall’accredito verde, ossia proprio (anche) i “nuovi cinefili” di cui parla e che come detto non entrano più alle anteprime stampa ormai da qualche anno (ma sarebbe bello sapere da lei cosa intende quando li definisce “molto estroversi”).
Questo concetto espresso da Mereghetti e dalla Aspesi è una cosa assolutamente ridicola e denota una totale mancanza di rispetto nei confronti di colleghi che scrivono su testate meno importanti delle loro. Anzi, vien quasi il dubbio che i due non considerino gli altri “colori” come dei veri colleghi, giustificando così la storia della “cricca rossa” di cui parlava il volantino circolato nei primi giorni del Festival. Tant’è che l’altro inviato del Corriere della Sera, Valerio Cappelli, scrive nel suo articolo che «C’è chi dà la colpa alle proiezioni per gli addetti (1300) che quest’anno si sono allargate a tutti i media». Al di là che “tutti i media” sono sempre entrati alle proiezioni stampa, è chiaro qui il concetto che le “vere” proiezioni per gli addetti erano le loro e non quelle degli altri, e che gli altri media sono meno importanti di quello che loro rappresentano.
La realtà, invece, è che abbiamo tutti l’accredito stampa e paghiamo tutti la stessa cifra per averlo. Non c’è nessuna ragione al mondo per cui gli accrediti rossi debbano essere facilitati rispetto agli altri nello svolgere il proprio lavoro, perché per quanto possa dar loro fastidio facciamo tutti lo stesso lavoro. Siamo tutti accrediti stampa, e se è giusto regolamentare l’accesso in sala dando degli ordini di precedenza, non è affatto giusto l’atteggiamento snobistico che certi parrucconi sembrano avere. Detto chiaramente: se c’è qualcuno che farebbe meglio a starsene a casa invece di venire al Festival del Venezia non sono i “giovani cinefili” né tantomeno gli esponenti degli “altri media”, bensì i vecchi tromboni ottuagenari ufficialmente in pensione che non si riconoscono più con questo Festival.

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Commenti

11 risposte a: “Tre colori: rosso, blu e giallo”

  1. Tommaso Tocci ha scritto venerdì 9 settembre 2011 19:29

    Dai faccia a faccia avuti con 1) responsabile dell’ufficio programmazione, 2) membro ufficio stampa stazionato fisso a monitorare la sala darsena tipo osservatore dell’ONU, e 3)Muller in persona emerge chiaramente una spaccatura tra i loro propositi/intenzioni e l’applicazione degli stessi in questa edizione invece che, ad esempio, nella prossima, quando ulteriori miglioramenti alle infrastrutture dovrebbero migliorare la situazione. L’addetto dell’ufficio stampa ha chiaramente detto “questo è un anno di transizione”, e alla naturale replica “allora perchè non attuare questa bella trovata l’anno prossimo quando sarà ampliata la Sala Darsena?” ha scrollato le spalle.
    Scrollata di spalle peraltro molto simile a quella del Direttore in persona quando gli ho presentato la stessa problematica. Il suo sfogo dell’anno scorso è giustissimo, così come lo è l’esortazione a tutelare le sezioni minori. Ma è assurdo che il rimedio proposto (l’eliminazione delle proiezioni daily in Perla) ignori completamente l’effetto collaterale dell’esclusione di così tanti accreditati.

    Ricordiamo anche, per questo piccolo catalogo di reazioni, l’addetto della security che durante la prima protesta urlò alla fila di accreditati media press “voi non avete nessun diritto”.

  2. Mirko ha scritto domenica 11 settembre 2011 00:51

    Ho visto il collegamento su BadTaste, riguardo la Aspesi… senza parole… tra l’altro mi sono fatto quattro risate, leggendo tutte le volte in cui l’hanno ripresa su certe sviste, per questo deve odiare quel sito!!! Però pure voi, prendervela con una povera nonnina… XD (ma le abbasserano davvero le età pensionabili femminili?)

  3. Emanuele Sacchi ha scritto domenica 11 settembre 2011 01:15

    Pienamente condivisibile Alberto, problema ampiamente previsto e puntualmente verificatosi. L’unico passaggio su cui dissento è il seguente: “Non c’è nessuna ragione al mondo per cui gli accrediti rossi debbano essere facilitati rispetto agli altri nello svolgere il proprio lavoro, perché per quanto possa dar loro fastidio facciamo tutti lo stesso lavoro”. Una ragione c’è, ossia che i “daily” dovrebbero essere tali perché devono consegnare ogni giorno almeno un pezzo e in molti casi seguire le conferenze stampa. Per questo devono poter fare tutto più rapidamente e necessitano di una priorità speciale. Con ciò, è chiaro come il sole che quanto pensato quest’anno non funzioni ed è altrettanto vero che molti rossi il lavoro di cui sopra non lo fanno proprio…
    Io penserei a dividere una volta per tutti press da industry con proiezioni separate più che colpire i media press. Altrimenti i media press li si abolisce: o li si fa blu o verdi o niente, che è sempre meglio rispetto a prenderli in giro.

  4. Alberto Cassani ha scritto domenica 11 settembre 2011 10:48

    In teoria hai ragione, Emanuele. Solo che gli accrediti vengono assegnati secondo l’importanza della testata e non secondo “l’urgenza” del lavoro. Ci sono mensili con l’accredito rosso e quotidiani locali o anche radio col blu o col gialli.
    Quest’anno pare ci siano stati 250 accrediti in meno rispetto all’anno scorso, ma potrebbero essere stati tagliati industry o cinema, ed è stato subito chiaro che i tagli non erano sufficienti. In ogni caso una soluzione radicale si deve trovare. Dividere industry da stampa potrebbe forse essere sufficiente, ma dove li metti?

  5. Alberto Cassani ha scritto domenica 11 settembre 2011 10:50

    Mirko, la Aspesi sarebbe in età pensionabile anche se fosse passata la manovra finanziaria… E comunque lei non ce l’ha con Bad Taste, ce l’ha con tutti gli esponenti del web.

  6. Tommaso Tocci ha scritto domenica 11 settembre 2011 15:48

    Concordo con Emanuele. Tutte le sue proposte sono sensatissime, e sono state anche avanzate alle persone con cui abbiamo parlato. L’altra idea a mio parere ragionevole sarebbe non tenere la fila “rossa” aperta in esclusiva fino a mezz’ora dopo l’inizio del film. Di solito è lì che la gente s’incazza, perchè per il resto nessun giallo sarebbe contro il concetto delle priorità. Tutti capiscono che il rosso deve passare per primo, ma a film già iniziato è assurdo tenere i media press ancora fuori per far passare una manciata di rossi in totale che arrivano a distanza di cinque minuti l’uno dall’altro.
    Senza tornare al qualunquismo della puzza di cappuccino, se ne sono visti tanti che arrivavano in ritardo perchè genuinamente bloccati dal lavoro (interviste, ecc.) ma sono così pochi che entrerebbero comunque. Dopo l’orario di inizio del film dovrebbero saltare le priorità.

  7. Alberto Cassani ha scritto domenica 11 settembre 2011 17:32

    Ma sono d’accordo anch’io, con quello che scrive Emanuele. Come credo di aver detto già ieri, poi, che io non sono contrario alla priorità di accesso: la priorità è giusto e ovvio che ci sia. Quello che non mi sta bene sono le proiezioni anticipate (soprattutto la sera, che anticipa quella nostra della mattina dopo): i daily così come sono organizzati ora non hanno bisogno di questo anticipo (che infatti nasceva da ragioni politiche). Poi è chiaro che se metti tutti insieme com’è giusto che sia devi tener conto del numero di persone, e mi pare ovvio che quest’anno non l’abbiano fatto.
    Sono d’accordo anche nel lasciare a casa i gialli (o degradarli a verdi, ma solo se i verdi cosano 30 euro invece di 60) invece di farli venire e poi farli lavorare di merda. Ma al di là che appunto i 60 euro fan comodo alla Biennale, molti gialli preferiscono lavorare male che non lavorare…
    Chiunque sia il Direttore l’anno prossimo, non può permettersi di non valutare con attenzione questo problema, che comunque non è di semplicissima soluzione, ma ho la vaga impressione che tra 12 mesi saremo ancora qui a fare gli stessi discorsi di adesso. Quanti anni sono che diciamo che in sala stampa giornalisti e fotografi devono essere separati?

  8. Mirko ha scritto mercoledì 14 settembre 2011 03:28

    [riferito al discorso sulla Aspesi] Eh, questa è l’Italia… vecchi parrucconi che, secondo me, non riescono neanche ad avere un’idea di cosa sia il web… quindi, come tutte le cose che non si conoscono, fa paura! 😀 tra l’altro ho letto che nei primi anni 90 (quando cioè lei aveva già passato la sessantina), su un settimanale, curava una rubrica, in cui dava consigli alle persone in dubbio sull’amore e sul… sesso!!! Ora mi chiedo (e me ne frego se risulto anche volgare): chi può avere il coraggio di chiedere consigli su certe questioni ad una signora di quell’età??? Vabbé che l’età media si è allungata, però… con ciò non vorrei risultare una persona dalla mente limitata, però mi ha dato da pensare… e non voglio criticare chi continua a “lavorare” oltre l’età pensionabile (voglio dire, basta guardare Manoel de Olivera, che fa ancora film a 100 anni!!!), però credo che certe situazioni siano un po’ stonate… tutto qui…

  9. Alberto Cassani ha scritto mercoledì 14 settembre 2011 11:26

    Di questa cosa dei consigli d’amore mi hanno detto in molti, ma mi sorprende più che altro che lei sia considerata una critica cinematografica nonostante tutto quello che ha scritto, rispetto al fatto che la gente le chiedesse consigli su certi argomenti. Cioé, io non capisco come sia possibile voler chiedere pubblicamente certi consigli a degli sconosciuti, l’età e il sesso dello sconosciuto in fondo conta poco…

  10. Spaceodissey ha scritto giovedì 6 ottobre 2011 16:54

    Io quest’anno non c’ero ma credo di poter dire comunque due parole. Tutta la gestione numero di accrediti/proiezioni/sale a Venezia è sempre stata ridicola.
    Prima di tutto, gli accrediti dovrebbero essere concessi in maniera sensata. Ovvero, come diceva giustamente Alberto prima, non ha senso che chi scrive per un mensile abbia il rosso. Va benissimo un periodico.

    Fatto questo primo passo e preso atto che la sala Perla non può più essere utilizzata per la proiezione stampa del mattino si va tutti alla Darsena, con la priorità che termina 5 minuti prima dell’inizio della proiezione. Anche qui ricordo scene epiche di gente in sala che manda messaggi a chi è fuori in fila tipo “La sala è mezza vuota” e gli addetti che però non fanno più entrare perchè “Non c’è più posto”. Dei tornelli collegati a un display che conta quante persone sono entrate in sala non sono una tecnologia fantascientifica, peraltro.
    Stessa cosa dicasi per la Sala Grande con gli accrediti fatti entrare all’ultimo minuto (non so se anche quest’anno era possibile) perchè non si sapeva quanto pubblico si presentava. Tornelli e obbligo di presentarsi all’ingresso almeno 5 minuti prima dell’inizio dello spettacolo, dopodichè la sala viene chiusa per il pubblico e si fanno entrare accrediti fino ad esaurimento posti.
    Stesso metodo si potrebbe utilizzare per il Palabiennale.

    Altra soluzione potrebbe essere, come accennato, eliminare gli accrediti gialli e tenere così solo rossi, blu e verdi, assegnati in tre sale diverse (Perla, Darsena e PalaBiennale rispettivamente) con un programma di proiezioni identico ma scaglionato.

    Quanto ai colloqui avuti con Mueller e/o altre persone citato da Tommaso, ne ricordo uno simile avvenuto lo scorso anno tra un gruppo di abbonati e il direttore. La problematica posta era: “io, pubblico, pago fior fior di quattrini (1000 e più euro) per gli spettacoli serali e sono disposto anche a comprare ulteriori biglietti per vedere tutti i film in concorso. Com’è che il film sorpresa -in concorso- non lo posso vedere perchè non passa dalla Sala Grande?”. L’evasiva risposta del direttorissimo fu: “Forse organizzeremo una ulteriore proiezione…”, che ovviamente non fu organizzata.

    Non credo che nè Mueller nè nessun altro si preoccupi in modo particolare di quanti accrediti rimangono fuori e da quali sale fino a quando questi accrediti non sono rossi: gli unici che contano davvero.

  11. Alberto Cassani ha scritto giovedì 6 ottobre 2011 21:00

    Quest’anno il problema accrediti/sale è stato molto acuito rispetto al passato, non c’è dubbio. Ma è altreettanto indubbio che certi problemi erano prevedibilissimi e sono stati bellamente sottovalutati. Come abbiamo detto un po’ tutti, è un problema di difficilissima soluzione – soprattutto a livello economico perché rinunciare a degli accreditati portarebbe molti meno soldi nelle casse della Biennale – ma è una soluzione che va assolutamente cercata. Comunque i tornelli sarebbero esagerati: basterebbero i contapersone che usano di tanto in tanto. Devo dire, comunque, che nonostante il mio inguaribile pessimismo non posso ignorare i passi da gigante nell’organizzazione che Mueller ha fatto dal primo al secondo anno in laguna, e quindi pensare che possa trovare un palliativo almeno discretamente efficace a questo problema. Ammesso che resti al suo posto, ovviamente.

    Sui film a sorpresa non dico niente perché ho finito le parole ormai da tempo, per quanto riguarda la Sala Grande, invece, quest’anno gli accreditati avevano a disposizione una cassa riservata in cui prendere i biglietti per le proiezioni della giornata – come si fa a Roma fin dalla prima edizione – così da evitare inutili code e poter esser certi di non avere problemi con la vendita dei biglietti.

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